La borsa e il cellulare

 

La mia borsa mangia i cellulari.
Lo sento che squilla, lo cerco, non lo trovo.
Tutti gli avvenimenti più funesti attraversano fulminei un terzo della mia mente: la bambina sta male, mio figlio è stato fermato e gli hanno sequestrato la moto, mio marito ha avuto un incidente, mamma è caduta, forseèluichemichiamaorachelamoglienonc’èsbrigatisbrigatiarispondere.
Il secondo terzo del cervello cerca di capire come è possibile sentire il lamento del cellulare provenire dal fondo di una fossa delle Marianne alta poco più di 10 cm e non trovarlo, mentre l’ultimo terzo ti dà della stronza: perchécazzoseiuscitaconquestaborsa. Lo sai.
Vogliamo parlare dell’Iphone? Ne ho uno bianco che ho rivestito di nero perché così non si graffia, si vede meno lo sporco e perchè black is black.
Ho disattivato i suoni delle notifiche di FB perché ogni volta che ne arrivava una lo sguardo impietoso di mia figlia pareva dirmi: “che amarezza!”
Quindi, in maniera compulsiva, ogni tanto (ogni tanto?) devo controllare se me ne sono arrivate. Ma l’Iphone non c’è. L’hanno rubato, l’ho lasciato sul tavolo, è in tasca… no l’ho messo in borsa, se l’ho perso quando me lo ricompro? Panico… PAUSA. Indifferente, infilo la mano nella borsa, lo cerco a tastoni. L’iphone è lì.
Si, pronto? È mio figlio… apnea. “Mamma torni?”, il respiro riprende, lento. “Non lo so, perché?”. “Sicuro che non torni?”. “Ma non lo so, che succ… ah ho cap… No, non torno…” Chiudo. Ho perso 2 etti per l’ansia… accidentialoro.
La mia borsa determina il mio stato d’animo.
Ho provato con le pochette ma i cellulari, i caricabatteria, il portafoglio, il borsellino, i fazzoletti, l’assorbente, le chiavi, gli occhiali, il portaocchiali, l’agenda, le penne, i trucchi, gli scontrini della spesa, le ricevute del bancomat, le fototessere, la sabbia del mare di questa estate e quelle due conchiglie bellissime, no, non c’entrano proprio!

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