Intorno al tavolo c’erano i figli. Tutti e tre. Il più grande, sempre un po’ curvo, le spalle spioventi e gli occhiali sul naso, era concentrato sul dolce. Lo ispezionava con piccoli colpi di forchetta sotto gli occhi divertiti del fratello. Non potevano essere più diversi, quei due. Nessuno avrebbe detto che erano fratelli, se la seriosità dell’uno e l’espansività dell’altro non avessero trovato un punto di congiunzione, o di equidistanza, nella pacata affabilità della sorella che sedeva tra loro.
Erano davvero belli, i suoi figli, pensò. Tutti e tre. Gli abiti da cerimonia facevano il resto. Quando giunse il momento della foto, aprì la borsetta e, con sicurezza, si passò il rossetto sulle labbra. Senza neanche bisogno di uno specchio. Cercò il marito con lo sguardo, per riaggiustargli il nodo della cravatta. Lo raggiunse all’altro capo del tavolo.
Era tutto perfetto. I fiori, gli invitati, il pranzo. Anche lei era perfetta, disse tra sè, immaginando di guardarsi per un momento con gli occhi degli invitati alla cerimonia. Una moglie e una madre perfetta. Mentre armeggiava con il colletto della camicia, si sorprese a provare per quell’uomo che non le aveva mai fatto mancare nulla un senso di riconoscenza, ancora una volta. Non aveva nulla da rimproverargli. Non era colpa sua se lei aveva confuso fin dal principio la gratitudine con l’amore. Era ormai troppo tardi. Ricacciò quel pensiero, ma il suo sorriso si spense. Una bella fotografia rovinata.