Ratna è una ragazza di campagna che appena sposata è rimasta vedova. Non ha diritti, è alla mercé dei suoi suoceri, una specie di appestata che non ha nemmeno la facoltà di partecipare alle nozze di sua sorella. L’unica via di uscita è andare nella grande città, a Bombay, a fare la domestica. Il suo padrone, il suo Sir, è un giovane facoltoso che lavora nell’azienda di famiglia.
La regista e sceneggiatrice indiana Rohena Gera, formatasi in Inghilterra, imbastisce una storia minuta e delicata, in cui mette al centro la condizione femminile nel suo paese. L’arretratezza e la discriminazione di genere che si attenua nelle metropoli, si fa drammatica nelle zone rurali, in cui la donna viene data in moglie poco più che bambina, precludendole istruzione, lavoro, in poche parole un futuro che non sia fatto di accudimento della casa, del marito, dei genitori di lui e dei figli. Ma nel lavoro della regista non c’è alcun intento moralizzatore o didattico, la vicenda di Ratna e del suo “Sir” (il cui nome si scoprirà solo alla fine) scorre piana, scandita dai casuali incontri nel grande appartamento: lei che cucina, lui che mangia distratto; lui che vede i notiziari sul maxischermo in soggiorno, lei che accende candele e incensi ai suoi numi protettori; lei che scivola via silenziosa come un’ombra avvolta nel sari colorato, umile e discreta. Una Cenerentola, appunto, in cui la matrigna e le sorellastre cattive hanno le sembianze e i modi bruschi e scostanti della madre e delle amiche di Sir. O una Pretty woman in salsa indiana, in cui però non c’è traccia di sensualità – fatta eccezione per un breve passaggio in cui danza con le altre domestiche. Tutto va per gradi, senza clamori, passo dopo passo e Ratna che apre e chiude la porta d’entrata al padrone e agli ospiti, è come se aprisse e chiudesse il suo cuore alla speranza e al sogno.
Una favola molto terrena, in cui le differenze sociali hanno la meglio sui sentimenti.
O forse no, chissà, altrimenti che favola sarebbe?
La regista e sceneggiatrice indiana Rohena Gera, formatasi in Inghilterra, imbastisce una storia minuta e delicata, in cui mette al centro la condizione femminile nel suo paese. L’arretratezza e la discriminazione di genere che si attenua nelle metropoli, si fa drammatica nelle zone rurali, in cui la donna viene data in moglie poco più che bambina, precludendole istruzione, lavoro, in poche parole un futuro che non sia fatto di accudimento della casa, del marito, dei genitori di lui e dei figli. Ma nel lavoro della regista non c’è alcun intento moralizzatore o didattico, la vicenda di Ratna e del suo “Sir” (il cui nome si scoprirà solo alla fine) scorre piana, scandita dai casuali incontri nel grande appartamento: lei che cucina, lui che mangia distratto; lui che vede i notiziari sul maxischermo in soggiorno, lei che accende candele e incensi ai suoi numi protettori; lei che scivola via silenziosa come un’ombra avvolta nel sari colorato, umile e discreta. Una Cenerentola, appunto, in cui la matrigna e le sorellastre cattive hanno le sembianze e i modi bruschi e scostanti della madre e delle amiche di Sir. O una Pretty woman in salsa indiana, in cui però non c’è traccia di sensualità – fatta eccezione per un breve passaggio in cui danza con le altre domestiche. Tutto va per gradi, senza clamori, passo dopo passo e Ratna che apre e chiude la porta d’entrata al padrone e agli ospiti, è come se aprisse e chiudesse il suo cuore alla speranza e al sogno.
Una favola molto terrena, in cui le differenze sociali hanno la meglio sui sentimenti.
O forse no, chissà, altrimenti che favola sarebbe?
SIR – Cenerentola a Mumbai di Rohena Gera – India/Francia 2018