Il lato tenero di James Joyce

«Mio caro Stevie, ti ho spedito qualche giorno fa un gattino pieno di dolcetti ma forse non conosci la storia del gatto di Beaugency». Inizia così la lettera che James Joyce spedisce il 10 agosto 1936 al nipote Stephen di 4 anni. Si firma “nonno”, in italiano. Al nipote racconta la favola del Gatto e del Diavolo.

A Beaugency, cittadina francese sulla Loira, i cittadini vorrebbero un ponte per attraversare il fiume. Il diavolo viene a saperlo e si offre al sindaco per costruirlo in una notte. Il sindaco accetta anche perché il diavolo non chiede soldi, ma l’anima del primo che avrebbe attraversato il ponte. Il giorno dopo gli abitanti si svegliano e con meraviglia trovano la nuova costruzione. Tutti si radunano da un lato ma non passano dall’altra parte poiché ad attenderli c’è il diavolo. Tutto si risolve quando arriva il sindaco portando con sé un gatto e un secchio d’acqua. Posa il gatto a terra e gli getta addosso l’acqua. Il gatto spaventato corre attraverso il ponte verso il diavolo, che chissà cosa se ne farà della sua anima.

La storia del ponte e del diavolo si ritrova in diverse località d’Europa, per restare solo in Italia, a Cividale, a Bobbio e a Borgo Mozzano in provincia di Lucca, ove però il diavolo si ritrova a possedere l’anima di un maiale.

Quello che ci fa vedere la storia è anche un James Joyce diverso che, come racconta il nipote nell’introduzione alla pubblicazione della favola, gli raccontava «i viaggi, le tribolazioni e peripezie di Ulisse, parlando un linguaggio semplice adatto ad un bambino di otto anni».

Non è più il James Joyce che aveva chiesto a Nora di salire separatamente sulla nave con cui lasciavano Dublino, non è più il burbero e scontroso che si fa voler mal da tante persone, non è il padre che trascura Lucia che passerà la vita in manicomio. Alla fine, sarà l’avvicinarsi degli ultimi giorni, sarà l’affetto per il nipotino, possiamo pensare a un Joyce diverso, nonno James, di cui scopriamo un lato tenero.

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