PARASITE: due pareri a confronto

Parassiti.   Due famiglie a confronto entrambe composte da padre, madre, figlio e figlia. La prima, quella di Ki-Woo, vive in un seminterrato con le finestre sudice che si affacciano sulla strada, dove gli ubriachi pisciano all’aperto. La seconda, quella dei signori Park, è una splendida villa con le vetrate che si aprono su un parco verde e fiorito. Ki-Woo e i suoi vivono di espedienti, piegano i cartoni della pizza per tirare a campare, ma a modo loro si vogliono bene e si sostengono. I due ragazzi sono svegli e, anche se per mancanza di soldi hanno dovuto interrompere gli studi, hanno competenze e sanno muoversi bene anche in ambienti più altolocati. Infatti, con una serie di intrighi e sotterfugi, tutta la famiglia, padre e madre compresi, riesce pian piano a occupare posti chiave nella ricca casa dei signori Park. Con una regia perfetta e un pathos a metà tra una commedia degli equivoci e un thriller alla Hitchcock, il regista coreano Bong Joon-ho confeziona un film esplosivo, una favola post-moderna alla Fratelli Grimm, in cui ferocia e poesia si intrecciano in ugual misura. In cui tutti, ricchi e poveri, hanno crimini e misfatti da rimproverarsi e attimi di eroismo di cui vantarsi. Sullo sfondo, la Seul contraddittoria di questi tempi: da una parte l’opulenza e la sfrontatezza tecnologica, dall’altra il medio-evo dei bassi fondi allagati, con gli abitanti che scappano come ratti nelle fogne. Una lotta di classe 2.0, in cui avere o meno il WI-FI in casa è un discrimine e in cui, come da che mondo è mondo, i soldi “sono un ferro da stiro che elimina tutte le pieghe” mentre l’odore della miseria ti resta, nonostante il deodorante, appiccicato addosso. “Parasite” sottolinea le contraddizioni del capitalismo odierno e scava – non solo in senso figurato – nelle sue stratificazioni sociali: dal piano nobile, a quello del sottoscala fino a quello, ancora più basso, del sottosuolo. Ricchi stupidi intontiti dal loro potere, poveri che s’ingegnano per arricchirsi e poverissimi che sopravvivono rosicchiando gli scarti. Parassiti, tutti, e tutti colpevoli, più colpevoli sugli altri i ricchi, che sono non capaci di guardare oltre il loro becero egoismo. (Costanza Firrao)

Parasite, le opinioni di una inesperta.   Il film l’ho visto anch’io, che sono scarsa di cultura cinematografica. Bello è bello, recitato divinamente, con immagini di una visività potente – ma non ho mica capito tutto. Lo vedevo carico di allusioni ma non intuivo a cosa, tranne quando ho sentito “In ginocchio da te” cantata da Morandi – e credo anche un’aria pucciniana. L’autore certo è imbevuto di cultura occidentale, e allude a classici del cinema che io non so riconoscere – mentre li intreccia a fini sudcoreanicità, non tutte alla mia portata, tranne l’imitazione dell’annunciatrice di TV nordcoreana. A volte ho riso, a volte mi sono dispiaciuta per loro, poverini, quanta sfiga! A volte mi sono annoiata, trovando alcune scene troppo lunghe e autocompiaciute. Sono uscita dicendo: «oh “com’è metaforico!” (cit. la battuta del ragazzo), ma non ho capito a cosa alludeva, cosa mai metaforizzasse». Allora: comico, farsesco, noir, splatter, raffinato. Ok. I poveri sono colti e intelligenti e parlano come libri stampati, i ricchi sono scemi come pantofole – forse in Corea è così? Ok. Parassiti della società mi sono apparsi sia i ricchi che i poveri, cioè tutti e 10 i protagonisti – anche se in modo diverso, è ovvio. Tutti sono un po’ cattivi, quasi tutti sono piuttosto belli – e io che credevo i coreani fossero bruttini. Di lotta di classe in senso marxista, come mi aveva avvertito mio figlio, non ne ho trovata per nulla. Bello sì, il film, ma di cosa parla? (Giovanna Nuvoletti)

Parasite di Bong Joon-hoCorea del Sud 2019Palma d’oro al Festival di Cannes

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