LA MEZZANOTTE DI UN VENDITORE DI ALMANACCHI

Auguri, auguri, grida a mezzanotte il venditore d’almanacchi sulla strada. Auguri, auguri gli fa eco il giardiniere che si mette avanti col lavoro, rasando al battere dell’ora il prato di villa Recanati. In fondo, al culmine del viale che attraversa il largo prato della casa si staglia assorta, cupa all’apparenza ma in fondo mite, una figura sgraziata e diseguale, presenza un pò irrequieta e quotidiana di quel borgo che quando non tempesta i suoi quaderni con la grandine maestosa dell’amore a lui negato, delle sorti universali, tempestose come meteoriti, passeggia solitario come un passero ferito, scampato in tardo autunno alla caccia e al dileggio degli umani. Di lui qualcuno dice che s’atteggi un poco a bestia sovrumana, mezzo uomo e forse mezza fiera, ma quei pochi ch’ebbero con lui commercio di carezze e di parole raccontano d’un angelo assai mite, spesso commovente, che spargeva al suo passaggio versi e inchiostri come sassolini per raggiungere l’amore che da sempre gli mancava.
Era vero allora si trattasse di creatura poco umana come inclina a suggerire una leggenda tramandata dalla pubblica opinione. Si dice infatti che chi spegnesse sul far del giorno l’ultimo lampione che per primo s’accende all’imbrunire, quando già l’inverno di febbraio lascia un poco il passo a primavera, vedesse infine, nel mattino in cui la luna si scolora, involarsi un uccelletto strano verso il cielo, zoppo e goffo come nessun altro che lasciava sulla polvere poche briciole di pane: l’amore disatteso di cui solo aveva fame, molliche terse, luccicanti, incerte, miti e buone come stelle della sera.

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