JUDY

Depressa, alcolizzata, drogata dai farmaci, ce le aveva tutte Judy Garland nell’ultima fase della sua carriera e della sua vita. In scena da quando aveva 2 anni, ad appena 12 fu notata da un pezzo grosso della Metro-Goldwin-Mayer che la scritturò; già nel ’39 diventò famosa per l’interpretazione di Dorothy nel Mago di Oz. Ma, dopo un lungo periodo di successi l’ex enfant prodige era ormai agli sgoccioli della sua notorietà e della sua salute: quasi anoressica, dipendente da sonniferi e ansiolitici, piena di debiti e con due figli piccoli da gestire. È su quest’ultima parte della sua esistenza che si concentra il film del britannico Rupert Goold, esattamente tra il ’68 e il ’69, quando Judy decide di lasciare l’America che le ha voltato le spalle per andare a Londra, dove viene ingaggiata per una serie di concerti. Tratto dall’opera teatrale End of the rainbow, il film descrive la vita disordinata della Garland, gli eccessi, gli scoppi d’ira, la fragilità fisica e psichica e insieme il bisogno di ricevere affetto sincero e disinteressato – bellissime le scene della casuale amicizia con due maturi gay che l’hanno eletta a icona di fascino e bellezza. I flash back ripercorrono la sua adolescenza di ragazzina esaltata dal pubblico e tiranneggiata dai manager: pillole per ridurre l’appetito, pillole per dormire, ritmi massacranti di lavoro. L’ambiente di Hollywood prima e di Londra poi vengono ricostruiti alla perfezione, ma il lavoro di Goold non avrebbe avuto l’eco che ha e che avrà se Judy non avesse avuto le sembianze e la voce (canta lei) di un’attrice poliedrica come Renée Zellweger. La ragazza grassoccia timida e impacciata del “Diario di Bridget Jones” è una piccola donna (la Garland era alta 1 metro e 50) dal viso scavato, di una magrezza disperata, gli occhioni un tempo spalancati sul mondo sono segnati dalle rughe e il tono vocale è spesso rauco. Il dramma esistenziale di Judy viene esibito in scena tutte le sere della sua tournée londinese, la figurina patetica o scintillante di residue paillettes è lì sul palco, bersaglio o idolo di un pubblico volubile. Tranne quando l’arcobaleno, quello vero, quello che apre alla speranza, non s’intravvede per pochi istanti, giusto lo spazio di una canzone (Over the Rainbow).
Judy di Rupert Goold – Gran Bretagna 2019

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