Certo, topi vivi proprio no. E’ poco igienico. Inoltre, ora che sono vecchia non sono disposta a mangiare animali che non ho assaggiato in gioventù. Forse farei eccezione per le cavallette fritte, che suppongo sappiano di gamberetti, anche perché ne sono parenti strette. Quando vivevo su al nord, là dove sono nata, però, le coscette di rana me le sono mangiate, fritte in pastella o impanate. Sono buonissime, hanno un delicato sapore che noi chiamavamo il pollo/pesce. In stagione, la sera, uscivamo in compagnia nell’hinterland, dove allora si trovavano ancora le risaie, colme d’acqua a riflettere le luci dei grattacieli di Milano – e nelle trattorie ci aspettavano, naturalmente, le rane. E noi milanesi, naturalmente, le mangiavamo di buon appetito.
Ho mangiato spesso anche le lumache, squisite, con aglio e prezzemolo. Però tutto quell’aglio tritato mi restava un po’ pesante. Nella mia vita ho mangiato anche animali non solo crudi, ma vivi, vivissimi. Ostriche e tartufi di mare, per dire, roba costosa. Prelibatezze per gourmet. Fin da bambina ho adorato i tartufi di terra – che molti schizzinosi trovano intollerabilmente puzzolenti. E persino il caviale, sì, pure quello, che no, non esala fetenti miasmi ittici come molti sostengono. Ma ora non posso più permettermi né gli uni né l’altro.
Nella miseria e nella carestia tutti i popoli hanno mangiato di tutto. Compresi cani, gatti, topi, (le nutrie, vere topone, più di recente), con ottime ricette atte a renderli commestibili. Nell’Italia del Nord con grande abilità, devo dire. Mi sorprende assai che importanti persone venete usino l’accusa di mangiar topi come insulto. Non dovrebbero.