Lì lo chiamano, e qui lo chiamavano “onore”.
«La vita di una ragazza non vale nulla, quella di una figlia ancora meno, se rifiuta il ruolo di merce che serve a uno scambio vantaggioso, non per lei che non ne ha diritto», ha scritto Aspesi su Repubblica, nel suo “Perché siamo tutte Saman”.
E io provo rabbia infinita per il padre scappato in Pakistan a prendersi le congratulazioni del clan, tenerezza per il fratello 16enne alleato della sorella, e per il ragazzo che lei amava; e provo una inorridita, terrorizzata pietà per la madre piegata dagli usi tribali a rinnegare anche l’amore per la figlia.
E provo l’assoluta certezza che dobbiamo tutte e tutti lottare per i diritti di queste ragazze, che non ne muoiano più, che non vengano più rapite per esser vendute a sconosciuti. Che possano, anche, semplicemente, proseguire gli studi. Noi italiane, che per i nostri diritti abbiamo lottato, che siamo riuscite a ottenere l’abolizione del delitto d’onore solo nel 1981, che ancora assistiamo qui a femminicidi praticati da italiani su italiane, a stupri e altre violenze – proprio per questo dobbiamo lottare per i diritti di tutte le donne. Perché i diritti sono universali.
Non ho timore di lasciar spazio a razzismi con le mie affermazioni, né a pregiudizi antiislamici. La grande guerra contro le donne, il potere del patriarcato, e l’onnipresenza della sua ancella misoginia, strumento di pregiudizi e disprezzo, non sono questione di etnie, ma pratiche tribali che risalgono a prima della nascita delle religioni più diffuse – nelle quali però si infilarono benissimo. Quasi tutte le civiltà del pianeta ne sono infette, in gradi diversi. In alcune abbiamo vissuto un processo di affermazione dei diritti, faticoso e recente, eppure permangono, anche nei paesi più liberi, credenze e usi imbevuti di misoginia, che spesso passano per naturali e giusti.
Quindi andiamo avanti a lavorare – per i diritti, la libertà e la dignità di tutte le donne, di ogni etnia o religione. Di tutti gli esseri umani.
Delitto d'onore Misoginia Patriarcato