Deutsche Damen der Nachkriegszeit

Lavoravo a un progetto sulle donne del dopoguerra in Germania (è il significato del titolo che ho voluto in tedesco); una generazione che se ne sta andando. A Milano contattai la Pastora della Chiesa Anglicana Luterana e lei organizzò l’incontro. Fu un pomeriggio speciale.

Il gruppo di signore si riunisce ogni 15 giorni presso la Chiesa Luterana della città. Dopo una rapida consultazione fra loro le partecipanti hanno accettato di incontrarmi. Ero intenzionata a indagare sui loro ricordi dell’immediato dopoguerra, sono tutte signore tedesche nate poco prima, durante o subito dopo la seconda guerra mondiale, le ultime testimoni di un periodo molto triste della storia della Germania postnazista.
Quando arrivo alla sala riunioni della chiesa molte sono già presenti e mi accolgono sorridenti ma quasi distrattamente. La coordinatrice non perde tempo in inutili chiacchiere e cerca di attirare l’attenzione delle signore già intorno al tavolo. Si parla tedesco.
“Frau Swich vorrebbe…”
“Come? Può ripetere il suo nome?”
“Swich, pronunciato duro, come con la K, sono…”
“Ah ecco, che strano, avrei detto … ma da dove arriva?”
“Ma intanto si sieda, prego”
“Qui va bene? O meglio capotavola?”
“No no, capotavola no! Io non sento altrimenti, sono sorda. Meglio nel mezzo…lì”
“Bene…”
Le voci si sovrappongono, io prendo posto e cerco di rivolgermi sia alle signore sedute a destra, che a quelle sedute a sinistra, girandomi di qui e di là mentre mi presento e racconto un po’ chi sono. Ma la loro principale preoccupazione è sistemare le tazze del caffè, i piattini coi biscotti, i thermos.
Mi rilasso, attendo il loro segnale di via.
“Dobbiamo aspettare Monika… ah eccola!”
La signora accanto a me si sposta scivolando sulla sedia a sinistra,
“Devo sedermi qui?” chiedo timidamente
“No no, questo è il posto di Monika”
Monika si accomoda e io faccio per riprendere il discorso, mentre arrivano ancora un paio di ritardatarie.
“Ci scusi Frau Swich, prima devo leggere una comunicazione dalla chiesa di…XY”
La coordinatrice legge e poi invita le signore a prendere il salmo tal dei tali dal libro che tutte hanno davanti a sé. Infatti tutte lo aprono alla pagina giusta e intonano un canto, leggendo perfettamente le note sotto il testo. Qualcuna canta molto bene, altre meno, ma è tutto molto gradevole, tranquillizzante.
Terminato il canto si procede ad aprire la conversazione sul tema da me proposto e lentamente escono i ricordi. Le signore dapprima un po’ distratte e un po’ prudenti, poi fidandosi e abbandonandosi al recupero del loro passato, raccontano della loro giovinezza ed infanzia il giorno dopo la guerra.
Sono parole espresse con sorrisi dolci, non ci sono accuse per nessuno e neppure recriminazioni, solo la tenerezza di rivedersi bambine o giovinette, uscite vive da un inferno. Ripescano ricordi sepolti, raccontano rivelando pronunce diverse, ogni tanto sento un sospiro o colgo uno sguardo perso, ma per lo più sdrammatizzano e in certi momenti si prendono in giro fra loro.
I racconti sono disordinati, fatico a prendere appunti perchè non seguono la traccia che avevo loro fornito in precedenza. Nominano luoghi a me sconosciuti, paesi sparsi qui e là per la Germania, che tutte hanno abbandonato. Più di una viene da quella regione del nord est, oggi polacca, lasciando capire, che non c’è più un luogo di provenienza da chiamare casa. Nessun possibile ritorno.
Terminato il tempo a nostra disposizione le signore si prendono per mano e intonano un altro canto, subito dopo recitano, sempre tenendosi per mano, il PadreNostro.
“Vater unser im Himmel, geheiligt werde dein Name. Dein Reich komme. Dein Wille geschehe….”
Io, agganciata a questa catena, non canto e non prego, ma mantengo uno stupido sorriso e una espressione un po’ stupefatta.
E’ tempo di salutarsi, si infilano i cappotti e si annodano le sciarpe. Avevo temuto di aver fatto un passo falso organizzando questo incontro, ma vedo che alcune di loro camminano con fatica, chi ha il bastone, chi è appesantita, chi è reduce da interventi. Capisco che hanno voluto venire e partecipare. Poi si chiamano i taxi per chi è in difficoltà. Prima di andarsene un paio di loro mi ringraziano – loro ringraziano ME.
Sono commossa, hanno dedicato nel modo più gentile e sobrio possibile il loro tempo alla mia piccola indagine, approfittando di questa scusa per ripensare a momenti della vita ormai lontani, per qualcuna anche molto dolorosi, per tutte sepolti in fondo alla memoria.

 

 

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