Per chi volesse sapere tutto, ma proprio tutto, su una delle opere più straordinarie della storia del cinema, “C’era una volta in America”, di Sergio Leone, indispensabile il libro di Piero Negri Scaglione: “Che hai fatto in tutti questi anni”.
Indispensabile per comprendere la lunghissima gestazione del film, dal 1966, allorché Giuseppe Colizzi (l’inventore della coppia Bud Spencer – Terence Hill) scovò in un’edicola romana il libro “Mano armata”, di tale Harry Grey (pseudonimo del non meglio noto Herschel Goldberg), e lo propose a Sergio Leone, impegnato nel montaggio de “Il buono, il brutto, il cattivo”, al 1984, quando il risultato di quella che nel frattempo era divenuta una vera e propria ossessione verrà presentato, fuori concorso, al Festival di Cannes.
Per approfondire le svolte produttive, innanzitutto l’estenuante trattativa per l’acquisizione dei diritti di quello che non può certo essere definito un capolavoro letterario, fino al 1975, anno in cui Alberto Grimaldi, per festeggiare il successo, farà recapitare nella villa di Leone all’EUR una copia del romanzo deposta su un vassoio d’argento di Bulgari (lo stesso Grimaldi che poi si tirerà indietro, sconcertato, per motivi privati, dalla violenza della scena dello stupro, ma forse anche spaventato da un budget in continua crescita).
Quelle della sceneggiatura, che le vicende, almeno in parte autobiografiche, narrate nel testo rielaborò profondamente, e che vedrà coinvolti i nomi improbabili di Norman Mailer e di Leonardo Sciascia (ma anche quello del sommo dialoghista Michel Audiard), per approdare al solidissimo mestiere di Enrico Medioli (sceneggiatore di molti dei capolavori di Luchino Visconti – di Medioli, per lo meno a suo dire, ma non certo a caso, il “furto” proustiano di quel “sono andato a letto presto” che fornisce una delle chiavi di lettura più interessanti del film, a mio avviso la più importante: ho sfiorato il litigio a riguardo, con chi sosteneva che trovassi troppa letteratura in quello che in fondo era un “semplice” film – nulla di paragonabile comunque a quanto accaduto relativamente all’interpretazione dell’enigmatico sorriso di Robert De Niro nella fumeria d’oppio, su cui Piero Negri Scaglione necessariamente ritorna a più riprese). Alla maestria di Enrico Medioli, quindi, ed a quella di Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi (i re della commedia all’italiana, inventori della scena della charlotte alla panna, mentre alla penna del solo Benvenuti sarebbe dovuto lo struggente: “Sono inciampato” – ma ho sempre sospettato che alle spalle vi sia anche il Nemecsek de “I ragazzi della via Pál”). Ed ancora di Franco Ferrini (imprescindibile sodale di Dario Argento) e di Franco Arcalli (montatore-sceneggiatore prediletto da Bernardo Bertolucci). Il solidissimo mestiere di chi ha reso grande il cinema italiano coniugando mirabilmente “alto” e “basso”, popolare e colto, arte e botteghino.
Indispensabile per togliersi ogni curiosità possibile su un anno di riprese (dal giugno del 1982 a quello del 1983). Sulla scelta del cast (pare che in lizza ci fosse anche Romina Power, che però vide bruciata ogni chance a causa di un marito troppo… presenzialista). Sulle location, le scenografie e i costumi. Sulla fotografia e sul montaggio. Sull’indimenticabile colonna sonora (il Deborah’s Theme era stato composto per “Amore senza fine”, di Zeffirelli – esisteva fra Morricone e Leone un patto, in base al quale il compositore faceva ascoltare al regista i brani scartati da altri autori: l’arte del regista, al pari di quella dell’attore, è anche l’arte, o l’artigianato, del bricoleur).
Una minima parte degli aneddoti, piccoli e grandi, narrati nel libro, in grado di soddisfare appieno la curiosità del cultore pur restando, consapevolmente, “materiali”, ed in quanto tali solo in parte capaci di spiegare il fascino del film. Per dirla con Walter Benjamin, “ceneri”, necessarie, indispensabili, ma non sufficienti per comprendere appieno il mistero della “fiamma”, della vita dell’opera d’arte attraverso il tempo. Il mistero del genio creativo di Sergio Leone.
“Non dimentichiamolo, i film li fanno tante persone che lavorano per una sola persona, il regista”.
– “Che hai fatto in tutti questi anni”di Piero Negri Scaglione, Einaudi ed. –