Meno male che Napoli c’è, penseranno gli spettatori dell’ultimo film di Mario Martone, uscendo dal cinema. In realtà, il palcoscenico di “Nostalgia” non è Napoli nella sua contraddittoria, per non dire ambigua, complessità, ma il suo cuore nero, il rione Sanità. E’ qui che torna, lasciando quarant’anni di vita e una dolce moglie al Cairo, dove ha fatto fortuna, Felice Lasco (P. Favino). Napoli, da lontano, sembra cambiata, coi suoi grattacieli sullo sfondo del Vesuvio. Ma il rione no, appare incredibilmente immutato, agli occhi di Felice, innervato semmai da un’immigrazione che ne ha ancor più accentuato la natura cosmopolita e arabeggiante, dura e accogliente come nessun luogo al mondo.
Felice è a Napoli in cerca del suo perduto, fraterno amico Oreste Spasiano (Tommaso Ragno), che nel frattempo si è guadagnato il temibile soprannome di ‘o Malommo. Non siamo più al tempo di Eduardo, quando il Sindaco del Rione Sanità era una persona rispettabile, che gestiva con fantasia e, in fondo, giustizia le controversie del suo popolo. Mille segnali avvertono Felice che non è una buona idea rivangare il passato, soprattutto quando il nodo di un vecchio omicidio irrisolto è ancora denso come un grumo di sangue.
Ma lo sappiamo tutti che nostalgia, amicizia e senso di colpa sono un incastro maledetto, e però inevitabile da affrontare.
La Napoli di “Nostalgia” ci appare come il nucleo autentico, molto più del Cairo, del Sud del mondo, così vicina e così lontana da qualunque altro luogo. Impermeabile alla globalizzazione e all’omologazione, si mostra senza pudore per quello che è, come è sempre stata e, probabilmente, sempre sarà. Martone ne è oggi il pictor optimus, spalleggiato dai due formidabili protagonisti e da uno stuolo di gregari in cui spicca l’umanità feroce del sacerdote Don Luigi, interpretato dall’incisivo Francesco Di Leva.
Pierfrancesco Favino si conferma numero uno del cinema italiano mentre Tommaso Ragno riesce ancora una volta a scavalcare la potenziale gabbia della sua imponente fisicità, laureandosi a buon diritto come il nostro Rutger Hauer.