La gioia

Ormai era un’abitudine, presa anni prima, a non arrendersi mai, ad accettare le sorprese che ancora potevano arrivare almeno a sfiorarlo. Con quello spirito era partito quel sabato fatidico, di buon’ora, non rinunciando allo sguardo di gratitudine di Kelly alla prima scodellata di croccantini dietetici.

Avvicinandosi alla città il pensiero principale andava alla brioche napoletana che avrebbe trovato fragrante in quel caffè che ormai era appuntamento fisso. Non era strano che una giornata dedicata a cultura e scrittura avesse per lui come incipit il piacere di intingere un pezzo di pasticceria in un cappuccino dosato con maestria partenopea. Il cameriere al banco lo aveva riconosciuto e con un sorriso di complicità di mestiere, gli preparò la brioche sempre magnifica con quella testa a cappello che era invito al primo assaggio: la prima volta ch’era entrato in quel santuario pagano aveva chiesto la divisione confessando che averla intera davanti lo avrebbe imbarazzato, sempre a dieta continua, ma solo nella sede domestica. Così con una brioche in due pezzi esatti e un cappuccino senza spolverata di cioccolato si accomodò a un tavolino tenendo a vista tutto il grande locale.

Seguiva il ricambio degli avventori, piccoli nuclei familiari, coppie, e single, tutti ben inseriti come abitanti di quartiere “bene” coperti da abiti tipo “la prima cosa che ho trovato mi son messa”, tutto distrattamente ostentato come si sa far bene a Milano e in certi posti. A rendere variegato e realistico l’ambiente ci prova l’equipaggio di una pattuglia di pubblica sicurezza che si rinfranca soddisfatta di aver terminato la notte di servizio proprio lì. Ma c’è di più, finalmente. Sta in fondo al banco quasi attaccato a uno di quei contenitori di cornetti appena caldi. Una scelta gradevole da abitudinario. Il cameriere gli aveva messo davanti una coppa sproporzionata di patatine e una simile piena di noccioline. C’era anche un bicchiere con liquido oscuro, ghiaccio e una buccia di limone che occhieggiava, ma non era curato quanto quelle coppe piene. Nella mano sinistra teneva stretto il grosso scontrino come il passaporto si tiene alla vista dei finanzieri alla frontiera e quando tutto fu apparecchiato continuava a serrarlo “che non si sa mai”. La mano destra libera, completa, dita e palmo arrivò sulle patatine, ne prese tante e le portò alla bocca che in sincronia si era allargata per accoglierle tutte. Aveva la bocca piena e masticava con avidità e mentre si svuotava, già la mano ritornata vuota si appropriava di quello che ancora c’era e poi le noccioline, queste le prese nel pugno che portava alla bocca come si posiziona la tromba che avvisa tutti di un fatto importante. Dagli occhi, ancora cisposi per la notte di fortuna, usciva un lampo di vita quasi di orgasmo. Prendendo il bicchiere si ricompose e lasciò cadere lo scontrino che non serviva più, lui era passato dall’altra parte, si era acquietato, le coppe erano perfettamente vuote. Fu allora che si guardò intorno, era alla pari di altri, aveva consumato e con piacere. Non disse niente ma le labbra si muovevano e qualcosa diceva, per pochi:

«Guardatemi bene signore e signori e bambini ben vestiti, mi son tolto i morsi della fame, per poco, anche stamattina. Me li son tolti con schifose patatine fritte e noccioline, schifose ma tante e per un istante lungo la mia bocca piena mi ha dato la gioia che avevo sognato per una notte intera, io so vivere, proprio come pensate di vivere voi tutti, anche come te che ti vergogni di una brioche intera e fingi di mangiarla con distacco e se non ci fosse nessuno intorno l’azzanneresti, quasi schivo della tua gioia. Sono un barbone e per qualche istante sono stato un barbone felice.»

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