Quando, la notte tra il 29 e il 30 aprile del 1967, centinaia di ragazzi “vestiti strani” e per la maggior parte poco lucidi per ragioni facilmente intuibili si ritrovarono nella sala principale dell’Alexandra Palace di Londra, nessuno di loro immaginava di essere un pioniere. O forse sì, visto che di eventi come il Technicolor 14 hours dream organizzato da quei monellacci di “International Times”, foglio eminente della controcultura inglese non se n’erano ancora visti: un’idea geniale, rivoluzionaria.
Barry Miles, Hoppy Hopkins e compagni di strada avevano bisogno, come sempre, di fondi per tenere in vita la loro preziosa creatura, e si lanciarono nell’avventura che possiamo, col senno di poi, definire il primo rave della storia.
Tre palchi costruiti con mezzi di fortuna, luci psichedeliche multicolori, oggetti strani piazzati qua e là nel salone immenso di una struttura vittoriana concepita appunto dai lungimiranti inglesi per “svago, educazione e intrattenimento”
Su uno dei palchi, grande attrazione dell’evento reso possibile (questo va assolutamente sottolineato) dal congruo anticipo versato tra gli altri da Paul Mc Cartney e John Lennon, che a una cert’ora si affacciò a dare un’occhiata, suonavano i Pink Floyd, appena reduci da un concerto in Olanda e dunque esausti e stralunati anzichenò.
Il casino regnava sovrano, ovvio, perché gli artisti sui palchi suonavano contemporaneamente producendo decibel in quantità industriale, a tutto scapito della qualità che nomi come Alexis Korner, Soft Machine, Pete Townshend, Arthur Brown e perfino una Yoko Ono non ancora signora Lennon avrebbero potuto offrire.
Fu una notte memorabile, per tre o quattrocento giovani dell’epoca. I quali, due anni dopo, si ritrovarono moltiplicati per mille nella piana fangosa di Woodstock, stato di New York, USA, per il più grande concerto della Storia del Rock.
I loro eredi, oggi, forse vanno cercando nei capannoni abbandonati di mezza Europa quelle sensazioni di cui genitori o addirittura nonni hanno vagamente parlato, con il cuore stretto dalla dolcezza di un ricordo indelebile ma lontano, lontanissimo.
Si radunano a migliaia, ballano e sballano disperatamente per giorni ma senza i Pink Floyd, sostituiti da mega impianti stereo che diffondono una musica che non vi saprei dire.
Quando le forze dell’ordine eseguono, come è accaduto nell’halloween a Modena, il doveroso (motivi di sicurezza più che condivisibili) ordine di sgombero, i ragazzi non fanno storie e si avviano in buon ordine verso un altrove che a noi è difficile immaginare.
E’ giusto però ricordare che quei giovani rappresentanti di una generazione che non è la nostra sono tremendamente soli, per una quantità di motivi di cui siamo responsabili.
E che alla lunga, la soluzione di un problema esistenziale non è, non può essere la polizia.