Una volta che sono stato al Book Pride a Milano, mi ha avvicinato una ragazza con un gran fermaglio “fate l’amore non fate la guerra” e un microfono. Era seguita da un ragazzone con cinepresa e una lunga treccia che poi era fatta da tante trecce messe insieme in una, sulla sua testa.
A microfono spento mi dice a bruciapelo: «Ti faccio due domande, ti va?» Annuisco. «Dimmi come ti chiami e cominciamo». Data la mia esperienza di com’è stroppiato il mio cognome, tiro fuori un biglietto da visita; di Pettinaroli, modestamente.
La ragazza lo guarda e con i polpastrelli liberi (ha guanti tipo padrepio), sente le lettere a rilievo e rivolgendosi all’operatore dice: «Uè Sèba, abbiamo da intervistare un signore!». Poi, intenerendomi, mi sussurra «me lo posso tenere?» Le sorrido.
Ciak. «Perché sei, perché è, insomma cosa è venuto a fare qui signor Quagliarella?» Io: «Voi giovani mi incuriosite molto e poi credo che da voi c’è da imparare».
Quasi tramortita Sylvie (ha il badge sulla maglietta a righe) mi chiede: «Ha trovato quello che cercava?» «Si» le rispondo. E lei elettrizzata: «Ce lo dica, si capisce che è uno che sa di come si scrive e di libri, mi sbaglio?»
«Insomma, ho cercato di mescolarmi in questo mondo di libri e di umanità e ne esco con alcuni in una sporta, e lei, e tu che mi scambi per uno che sa e allora sì, lo ammetto, ho trovato la felicità». Poi al ragazzone: «Uè Sèba, smetti di riprendere, che mi devo baciare la Sylvie!»