La radio del furgone si è rotta, anche da spenta consuma tanta corrente da mettere KO una batteria grossa come un termocamino e pesante come un peccato. Su Roma spunta un’alba di mezzo settembre. Devo correre al mercato a caricare, ma la batteria non ce la fa. Motore e giornata non si avviano. Prendo i cavi e mi metto in mezzo alla strada.
Arriva un taxi. Non rallenta nemmeno, fa un cenno e va via. Poi una signora, mi guarda e non si ferma. Devo avere un’espressione terribile.
Viene un tipo che va per i quaranta ma non lo sa. Apre la porta del SUV parcheggiato accanto al furgone. Ha appena fatto doccia e gargarismi col dopobarba. Io per la fretta ho solo lavato i denti: patate e cipolle non si lamenteranno per questo.
«Scusi, mi dà un po’ di corrente, devo andare a…»
No, non può. L’ultima volta gli sono saltate le centraline. Non capisco. Siamo tutti uguali davanti ai 12 volt di una batteria, ma lui dipinge scenari apocalittici: fumo e fiamme che si alzano dal cofano dell’auto; progettata per traversare deserti e montagne, guadare fiumi e sconfiggere limiti, ma non per dare venti ampere a un poveraccio perso nell’alba a Monteverde Nuovo. Se ne va.
Arriva il camion dell’immondizia. Mi paro davanti. Non so più se per chiedere aiuto o per costituirmi. Si ferma, ma la sua batteria è sul lato opposto. «Forse potrei girarmi…»
La strada è meno larga della lunghezza del camion, nemmeno il comandante del Titanic ci avrebbe pensato. Lo caccio.
Resto sconsolato, con i cavi a terra. Si ferma una specie di caravan di tre colori diversi, senza contar le gomme. A bordo, una coppia di ragazzi. Tra tutti e due fanno la mia età, ma più chilometri. Sono zingari. Lui guarda i miei cavi. «Quelli non sono buoni.»
Tira fuori i suoi, possenti già a vedersi. Facciamo ponte. È solo la batteria che non va, mi servivano appena venti ampere. Forse quaranta. Il furgone parte. Lui mette via i cavi, ripete che i miei non sono buoni. Lei ha gli occhi svelti e un vestito bellissimo.
«Hai una sigaretta?», mi chiede.
«Non fumo.»
«Bravo! Offrimi qualcosa, allora!»
È giusto, devo qualcosa in cambio. Le do una manciata di monete. Li pago a lei gli ampere, quindici centesimi l’uno. Lei è contenta, e il sole ormai è sorto.
«Ti leggo la mano!»
No, grazie. Io vado in giro senza manuali d’istruzione. Il mio destino cambia ogni giorno strada. Lei insiste, mi guarda negli occhi.
«Ti sta arrivando la fortuna in amore…»
Quella già ce l’ho.
«… e i tuoi figli stanno bene e tutto ti andrà bene.»
Non ho cuore di dirle che figli non ne ho. Mi serve solo un’altra radio.
Vanno via, hanno fretta.
Se li mandano via tutti, prima o poi rimango per strada.