C’è stato un tempo, avevo credo diciotto anni, in cui, essendoci trasferiti a Napoli da Vico Equense, avevamo una casa di vacanza sul ponte di Seiano.
Era piccola, ne ho un ricordo preciso, la stanza mia e di mia sorella affacciava nella vallata e nel blu – verde, cielo e mare in tutta la gamma delle variazioni climatiche – ma soprattutto la porta di ingresso era attigua a una stalla che ospitava le due mucche dei proprietari, una più o meno bianca, Bianchina, l’altra più o meno nera, Nerina.
L’odore che accompagnava i nostri ingressi e i nostri egressi era quello caldo, forte, inconfondibile, di mangiatoia, di latte appena munto, e dell’immaginabile resto. A me piaceva molto, mi infondeva una serenità mai più provata in seguito, studiavo tanto, preparavo esami per la sessione autunnale, e non lo separerò mai nella memoria dalla Fenomenologia dello spirito che mi accompagnava in quei giorni appassionati.
Non era, non lo sarebbe mai stata, la notte in cui ‘tutte le vacche sono nere’, ma la vita, il giorno splendido di ogni differenza attingibile, a portata di occhi, naso, mano. Bianchina e Nerina, al nostro passaggio, spesso emergevano dal loro angolo buio e offrivano i loro capoccioni alle carezze.
Ricordo lirico e molto vivido. Sento tutti gli odori di quella vecchia stalla. E la dolorosa nostalgia di un mondo che non esiste più.
Grazie per la tua scrittura evocatrice.