Il mio primo Carnevale

In febbraio sono sempre stata malata, a letto. Tutta l’infanzia. Un anno varicella, un altro scarlattina; ebbi persino la rosolia.
Mai un Carnevale, mai una festa. L’anno che m’arrivò l’inizio di TBC – passato in montagna, e con uso di polmonite – impietositi, infine mi fecero confezionare un vestitone da fata. Su misura. Chiusa in casa volteggiavo in rosa e velo, in attesa dell’iniezione quotidiana. Immaginavo di essere una torta fragola e panna.
In quarta elementare, nel 1951, invece, vivevo a Roma. Sarà stato il clima più gentile: niente malattie. I polmoni pompavano alla grande. Io, felice. Mi toccava il mio primo Carnevale. Niente costumi da damina o principessa. Esigevo un completino da capo pellerossa – maschio, mica da squaw. L’ebbi. Cinta di piume e brandendo il mio feroce Tomahawk passeggiai con mia mamma per via Veneto, allora una strada piacevole, quieta. Altri bambini e bambine scorrevano ai miei lati. Ci ammirammo a vicenda.
Due ore di felicità innocente, per Adriana e il suo Todiglio.

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