Grande Meraviglia

Elba è nata e vissuta nel “Mezzomondo” che poi sarebbe un manicomio. A parte un periodo in cui è andata a stare in un orfanotrofio diretto da suore, da lei chiamate “Suore culone”, dove c’è suor Nicotina che fuma di nascosto e le spegne una sigaretta sul braccio.
Quando torna al “Mezzomondo” la sua Mutti non c’è più, la mamma con i capelli biondi che le insegnava le filastrocche in tedesco e che guardava con lei il “Carosello”, mimando poi tutte le pubblicità per giocare con lei. Le hanno detto che la Mutti è morta ma Elba (chiamata così per via del grande fiume) non ci crede, forse l’hanno spostata in un altro reparto, quello delle matte agitate o chissà dove.
Elba cresce, insieme a tutte le persone che abitano il manicomio: dal dottor Colavolpe, il direttore autoritario, all’infermiera Gillette, così soprannominata per via dei baffi e della barba che le spuntano ispidi sul volto, a tutte le sue compagne – Aldina, la poetessa, la Nuova (ultima arrivata) avvolta nel suo bozzolo di incoscienza. Ne passano tante: dall’elettroshock alle membra costrette dai lacci, alle pillole “che fanno dormire”.
Fino a quando nei corridoi del Mezzomondo non spunta il dottorino, Fausto Meraviglia, deciso a rivoluzionare quelle mura foderate di angoscia e di sofferenza, e di trasformarle in un luogo dove le ragazze possano respirare e aspirare a una vita quasi normale.
Anzi di abbatterle proprio quelle mura, applicando la Legge Basaglia, che pur promulgata anni prima non è ancora applicata. Fausto lo psichiatra, ha da subito notato quella ragazzina dai capelli color stoppa e dal fisico minuto – peccerè, la chiama – e capisce subito che lei è diversa dalle altre, che è molto intelligente, ironica e decide di aiutarla a “crescere”.
Viola Ardone, scrittrice e insegnante, segue da sempre i più piccoli e il suo ultimo romanzo “Grande Meraviglia” completa la trilogia cominciata con il “Treno dei Bambini” (per la recensione clicca qui) e “Oliva Denaro” (per la recensione clicca qui)
Il libro ha tre riferimenti temporali: il 1982, il 1988-89, il 2019-2020 e se la prima parte è completamente dedicata a Elba e alle sue esperienze – compresa la stesura puntuale di un “Diario dei malanni di mente”, nell’ultima c’è solo Fausto Meraviglia, solo in tutti i sensi, perché vecchio, stanco, un po’ fuori di testa, abbandonato dai familiari che si fanno vivi solo sporadicamente, con l’unica compagnia di un micio, di un apparecchio elettronico che risponde alle sue domande (Altana) e di un vicino ex-giornalista messo ancora peggio di lui.
Con un linguaggio semplice ma complesso nel trasmettere le difficoltà di esseri umani umiliati, offesi, ritenuti “irrecuperabili”, la Ardone ricama una storia che soprattutto commuove, ma anche diverte (epica la partita di calcio nel cortile del manicomio con tutte le pazienti e i pazienti), e ti arriva dritta al cuore, quell’organo bistrattato dai senza cuore. E ce ne sono sono tanti in questa “Via dei matti al numero…”, l’importante è come dice Meraviglia “stai bene peccerè, e di tutto il resto fottitènne”.

 

 

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