IL MALE

Io la stupro da solo perché era roba mia da anni, si è ribellata e mi ha lasciato come un cane . Io la stupro con gli amici perché ho voglia di divertirmi e sballarmi e quella, lo sanno tutti, è una che ci sta. Io la stupro perché le donne sono schifosamente puttane, basta guardare la televisione, vanno in giro nude. Io la stupro perché ho lasciato la mia famiglia per lavorare in Italia e non tocco una donna da mesi e un uomo non ce la fa più. Io la stupro perché vivo in una baracca e faccio la fame e mi disprezzano, e così mi riprendo quello che mi tolgono. Io la stupro e la picchio perché il marito non paga il pizzo del negozio. Io la stupro perché la violenza mi fa sangue e voglio il suo terrore perché mi eccita rubare il sesso. Io la stupro perché è una ragazzina appetitosa. Io la stupro perché anche una vecchia ha un buco che mi soddisfa. Io la stupro perché mia moglie non vuole più venire a letto con me. Io la stupro perché in fondo è quello che piace alle donne. Io la stupro perché mia figlia la amo.

Insieme, forse, le uccidiamo. Ma c’è sempre qualcuno che ci difende: è il terribile stato di depressione per l’abbandono, è la miseria e il degrado in cui viviamo: è impossibile mio figlio è un bravo ragazzo, l’hanno trascinato gli altri, è la mancanza di cultura, è il retaggio del passato, è il peso del presente. E poi, dopo poco tempo, anche se ci beccano, siamo fuori. Bisogna solo cercare di non farsi spaccare il culo dai carcerati in galera. E per questo c’è l’isolamento che ci salva. Siamo animali, solo gli uomini sanno essere animali così. E se le donne no, non ne sono capaci, le facciamo diventare animali noi. Animali da preda.

Male. Male. Il pugno improvviso mi ha spaccato le labbra, sputo pezzi di denti. Ingoio sangue e capelli. Ascolto gli schifosi insulti. Sento il peso addosso, non respiro. Allungo le braccia, “Vi prego, vi prego”. La mano mi tappa la bocca, la mano mi schiaccia il seno, la mano strappa le mutandine. E’ buio, non vedo niente. La mia schiena conficcata nelle radici di un cespuglio, il rumore delle automobili lontano. Ho il sapore del vomito, la puzza del suo sudore, l’odore di abiti sporchi, il tocco famelico di una bestia addosso. Ho male. Altri pugni, mi sento svenire. Poi un martello rovente, dentro. Piango per il dolore. A loro non importa, sento l’alito pesante e estraneo, i grugniti, prima di uno poi dell’altro. Ho freddo, la terra bagnata esala il suo marcio. Sento lo sperma e il sangue colare dalla vagina adesso. Mi hanno infilato qualcosa di più gelido, una bottiglia. Continuano, non si fermano, ricominciano. E’ insopportabile, ma non mi dibatto più. Ho male. Loro ridono, si sono sfogati. Sono un pupazzo scaduto, una marionetta rotta. Sento il loro sputo addosso e i passi che corrono via. C’è silenzio. Non gemo. Respiro appena. Se ne sono andati e mi hanno rubato tutto. Non i soldi, me stessa. Mi sento lurida. Vorrei alzarmi dal fango, vorrei riaprire gli occhi. Uno lo spalanco, l’altro non posso. Vedo solo il cielo più chiaro del nero in cui sono immersa. Vorrei volare su una nuvola. Abbandonare il mio corpo martoriato, la mia mente imprigionata nel martirio. Fa ancora più freddo, mi sento morta. Vorrei essere solo un’anima purificata, leggera. Un’anima senza sesso, senza vagina, senza seno. Rimango immobile. Poi allungo un braccio, cerco il telefono. Le dita mi tremano, tremo tutta. “Aiuto, per favore”. Per favore non fatemi più male, mai più. Per favore. Il mio sangue ha il colore del piombo e l’aspro odore del ferro. Ho male dovunque, il male addosso.

Questo articolo è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla” #unite #rompiamoilsilenzio

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