Gli impermeabili dell’avvocato astigiano

Ho conosciuto Paolo Conte, le sue canzoni, nel 1981, in Umbria, in vacanza. Ricordo bene quell’estate. Un nostro amico aveva appena scoperto di essere regolarmente tradito dalla compagna, con un collega di lavoro, da mesi o forse da anni. Per sfogarsi, per non restare solo a rimuginare il proprio sconforto, ci trascinava tutti i pomeriggi in lunghissime peregrinazioni sulla sua A112. Il percorso variava ogni giorno, sempre identica era la meta, l’altura incombente il luogo degli incontri fedifraghi, ove si lasciava andare a una sequela di coloratissime invettive di fronte al calar del sole. Dovevamo sforzarci non poco per mantenere un’espressione consona alla gravità del momento.
Non che i monologhi nel corso dei trasferimenti fossero molto più vari peraltro, nell’alternanza di alti lai e imprecazioni. Per fortuna era da poco stato pubblicato “Alle prese con una verde milonga”, immancabile contrappunto a tali sbalzi d’umore tramite un’audiocassetta. Con tutta evidenza quelle note, quelle parole, in qualche modo segreto si adattavano al suo stato d’animo, non saprei spiegarmi altrimenti una simile reiterazione. O forse era solo buon gusto. Sicuramente per noi si trattava di un piacevole diversivo. Di più: un incontro che ci spalancava orizzonti inattesi. Ancor di più: la nascita di un grande amore.
Da allora Paolo Conte è divenuto per me un autore di culto, non mi sono mai perso un suo disco, attendendoli con impazienza, acquistandoli appena usciti per essere fra i primi a godermi quelle meravigliose invenzioni musicali e verbali.
Ma c’è un’altra data, ancor più importante, che ha segnato il mio rapporto con l’avvocato astigiano: il 29 agosto del 1991. Quell’anno il chitarrista storico, e grande amico di Paolo Conte, Jimmy Villotti, aveva deciso di rinunciare a una tournée che si annunciava particolarmente lunga e fisicamente impegnativa. A sostituirlo fu chiamato il mio amico di una vita, Gianni Daga, jazzista, che puntualmente mi relazionava sulle località visitate, le prestigiose location: Parigi, ovviamente, e Antibes, Carcassonne, nel cortile del Castello dei Templari, e Saint-Tropez, Locarno, per il festival del cinema, Orange, nell’Anfiteatro romano, ma anche Santa Margherita Ligure e Mantova, nel cortile del Palazzo Ducale… Den Haag, per il Festival Jazz del Mare del Nord, occasione in cui si trovò a condividere l’ascensore dell’hotel con Miles Davis, che sarebbe mancato appena due mesi dopo.
Una tappa sicuramente fondamentale fu quella romana, del 29 agosto appunto, alle Terme di Caracalla: era la prima volta che quell’esclusivo palcoscenico, fin allora riservato alla musica classica, si apriva a quella “leggera”. Io stavo tornando dalla Sicilia. Ci demmo appuntamento a Roma. Mi fece entrare come accompagnatore della band. Potei assistere al concerto da dietro le quinte.
Fu un evento straordinario, peraltro frutto anche del rinvio causato da un improvviso, violentissimo nubifragio la sera programmata, ma Gian Paolo Cresci, allora sovrintendente dell’Opera di Roma, era stato categorico, ricordo le sue testuali parole: questo concerto si deve fare, a qualunque costo, non è un problema di soldi. Altri tempi, nel bene e nel male. Nel giro di pochi minuti furono trovate le camere d’albergo per i musicisti. Così ci ritrovammo sul palco il pomeriggio successivo. Tutti erano consapevoli dell’importanza storica dell’evento, anche se reduci da un tour clamoroso. Conservo come insostituibile reperto di quel giorno, seppur non all’altezza, l’immagine che accompagna queste righe: Conte, con i chitarristi Daga e Piri, nei camerini di Caracalla, spartani a dire il vero non poco. Ricordo ancora l’emozione del momento, la difficoltà addirittura a trovare il pulsante di scatto, anche se non ero propriamente un novellino (la macchina fotografica era in prestito però, va pur detto).
Fu una rivelazione. Compresi la reale statura di Paolo Conte, grandissimo autore ma anche fantastico interprete, autentico signore del palcoscenico. Compresi perché i suoi concerti del 1985, al Théâtre de la Ville di Parigi, avevano segnato un trionfo del quale tutti gli appassionati restano debitori, l’avvio di una fama internazionale, e solo di riflesso italiana.
Ho assistito ad altre esibizioni dal vivo, come spettatore comune, da ultimo in Piazza Cattedrale, ad Asti, il 1° luglio del 2015, e sempre intatto è rimasto lo stupore nei confronti della capacità di ricreare pezzi ascoltati decine di volte, che credevamo di conoscere a memoria, ormai classici, rinnovando gli arrangiamenti e i toni recitativi, scavando sempre più a fondo nelle emozioni, concedendo sempre più spazio ai virtuosistici complici dell’orchestra.
E poi, appunto, ci sono le canzoni che hanno accompagnato la nostra vita, definitivamente legandosi ai momenti più felici e più tristi, agli amori, e ai tradimenti, come ci insegnò il nostro vecchio amico, alle estati al mare o in città, ma anche alle giornate grigie di pioggia.
Ci sono “Gli impermeabili”, come in un rendez-vous che continua a rincuorarci sul potere taumaturgico della bellezza.

 

 

 

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