Il (quasi sempre) paradiso delle Isole Vergini

Il sole, basso sull’orizzonte, è ancora ben visibile quando l’aereo si posa dolcemente sulla pista di Charlotte Amalie, capitale delle Isole Vergini Americane, nell’isola di St. Thomas. Pochi giorni di vacanza prima di tornare al lavoro nel continente statunitense.
Sistemati i bagagli, nuoto fluido nella hall all’aperto dell’albergo, desideroso di esplorare i nuovi territori. Mi accorgo di essere l’unico adulto in mezzo ad una folla di ragazzini chiassosi, in gita scolastica da St. Croix, l’isola più grande dell’arcipelago. Divertito dalla loro vivacità, mi incammino verso il lungomare sotto le luci delle prime stelle impallidite da una falce di luna.
Non sono nemmeno le nove di sera, l’albergo è deserto. I bambini, suppongo, dormono. Mi dirigo verso il bar e inizio a parlare con il barman. Una chiacchera tira l’altra, ci ritroviamo seduti intorno ad un tavolo, con una birra in mano, come se ci conoscessimo da sempre. Chiedo: “Com’è vivere alle Isole Vergini?”
“Si vive abbastanza bene qui “risponde lui” essere cittadini americani, anche se di serie B, ci dà dei vantaggi.” Poi chiarisce, con un tono un po’ amaro” I nostri rappresentanti possono partecipare alla vita politica, senza avere però nessun diritto di voto. La vita da queste parti è tranquilla tranne quando arrivano gli Hurricanes, gli uragani”.
Non aspetta una mia ovvia domanda e prosegue: “Qui non abbiamo vie di fuga: in un’isola non c’è dove scappare. I nostri shelters sono i vecchi vagoni della ferrovia. Se sei stato previdente, lì hai un luogo sicuro dove mettere tutte le stoviglie e le cose fragili della tua casa. Poi ti chiudi in cantina e aspetti il loro arrivo. Per tantissime ore è come se un gigante scuotesse le fondamenta della tua abitazione. I terremoti più terribili durano decine di secondi, forse qualche minuto, qui tutto trema con estrema violenza per un giorno intero e anche più. Preghi e bevi, in queste occasioni però trovare del whisky è difficilissimo, cerchi di non pensare, di esserci il meno possibile. I venti arrivano a 150-200 miglia l’ora sollevando terra, sassi, alberi, case, macchine. Vola ogni cosa e non importa se sia giorno o notte: sei sempre al buio immerso in un fragore assordante. Non so come sarà il paradiso, ma ho già un’idea abbastanza chiara dell’angoscia dell’inferno …”.
Si ferma lasciando le ultime parole in sospensione: ha raccontato tutto d’un fiato e senza pause. Per parecchi secondi ci guardiamo negli occhi, in silenzio. Provo a rompere il ghiaccio dicendo che qualche tempo fa mi è capitato di lavorare nei dintorni di Chicago, in un posto famoso per i Tornado, i Twisters. Ho avuto due allarmi nel periodo della mia permanenza, che però non si sono concretizzati. “Durante gli Hurricanes i Twisters non mancano!” risponde il mio interlocutore” Tutti e due hanno una cosa in comune: possono essere molto concentrati nella loro azione. Alcuni anni fa un uragano distrusse ogni cosa qui a St. Thomas, lasciando intatto St. John che si trova a poche miglia di distanza. Gli Hurricanes sono bestie feroci che sanno scegliere con cura le loro vittime”.
Tace nuovamente, poi, pentendosi di avere dipinto una realtà troppo cruda, aggiunge “Ma qui ti divertirai, vai a St. John, le sue spiagge sono famose, ti piaceranno moltissimo. Le nostre isole sono un paradiso sempre tutto l’anno, … quasi sempre!”. Ride fragorosamente, mi strizza l’occhio.
Il mattino successivo, ancora assonnato apro la finestra e mi affaccio in balcone. Mezzo accecato dalla luce solare scopro una nuova montagna al centro della baia, deve essere nata stanotte !
Si tratta di una gigantesca nave da crociera. Sembra la scena di un disegno infantile: una colossale imbarcazione in un minuscolo porticciolo.
“Non capisco questo modo di viaggiare,” mi confida il barman la sera, “ma per l’economia locale è pur sempre una benedizione”.

 

 

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