Se fossi un sostenitore del movimento cinquestelle avrei provato un certo senso di inquietudine nel constatare che il nome scelto per l’assemblea costituente è stato “Nova”, termine che, in astronomia, indica lo stadio di una stella prossima ad esplodere, non proprio benaugurante per una assemblea (ri)costituente di un movimento che si chiama, appunto, cinquestelle.
Probabilmente chi lo ha concepito si è fermato alle prime due righe di Wikipedia che descrivono la Nova come il momento in cui la stella raggiunge il massimo della propria luminosità ed energia, peccato che nelle righe successive spieghi che il fenomeno ne precede l’imminente esplosione.
Peraltro ormai in astronomia si conosce con certezza il destino di una stella che si trasforma in nova, a differenza del Movimento il cui ignoto futuro, oggi più che mai, appare più simile ad un buco nero in grado di assorbire non la luce ma i consensi, almeno a giudicare dalle ultime elezioni regionali. Sarà anche per questo che, a differenza di quanto avveniva ai tempi del duo Grillo-Casaleggio, l’evento non ha suscitato particolare scalpore mediatico: se ne è visto e letto, ma soprattutto saputo, pochissimo, salvo qualche cronaca giornalistica poco utile alla sua comprensione, forse perché espressione della confusione del cronista nel descrivere un’assemblea in cui scorrevano votazioni a raffica con la stessa velocità delle avvertenze dei medicinali o delle condizioni di una finanziaria nelle pubblicità tv.
In sostanza, per chi non c’era a Roma (ma probabilmente anche per chi c’era), si è capito solo che il Movimento cinquestelle è diventato “progressista” e “indipendente” (verosimilmente dal Pd, precisazione che sa tanto di excusatio non petita), e che da oggi ci si potrà candidare fino al terzo mandato, oltre ovviamente ad affermare la leadership di Conte. Poche certezze ma utili a confondere gli elettori ex grillini, almeno quelli della prima ora, ammesso che esistano ancora, dalle alleanze fino alle posizioni espresse in politica interna ed internazionale. E va detto che, al netto della nuova generazione contiana, i numeri non sembrano dare ragione al nuovo corso dell’ex premier rispetto alla stagione precedente, quella che, grazie ad oltre il trenta per cento dei consensi, ha permesso al movimento di abolire la povertà e aprire il parlamento come una scatoletta di tonno, costringendo i parlamentari successivi a portarsi in aula l’ombrello per non bagnarsi quando piove.
Ed a proposito di vecchia guardia, il fondatore, l’Illuminato Grillo, non sembra avere preso benissimo il suo progressivo demansionamento da garante plenipotenziario a ingombrante (e costoso) residuato bellico della prima guerra dei vaffa, quella contro la cosiddetta Casta, della quale, però, ormai da anni fanno parte anche i suoi ex discepoli. Una telenovela che, pare, finirà a carte bollate, un finale da contrappasso dantesco per chi ha raggiunto, negli anni d’oro, il trenta per cento, promettendo semplificazione, trasparenza, la fine dei privilegi, a partire dai mandati infiniti, fino ad arrivare alla consultazione della base. Quest’ultima è passata da strumento assoluto di democrazia, quando il popolo grillino votava su Rousseau, ad oggetto di probabili ricorsi e controricorsi oggi, dove a stabilire temi e modalità di voto è Conte.
Nel mezzo di questo conflitto generazionale (anche se Conte non è proprio un ragazzino) rimangono i militanti, quelli che ieri si sacrificavano per ore ai banchetti ed oggi si candidano a spese loro perché ancora legati all’idea di un movimento di cittadini per i cittadini mentre molti loro eletti parlano per lo più di alleanze con quel Pd considerato fino a ieri il diavolo e, parallelamente, criticano la Lega con cui hanno costituito il loro primo, storico governo. Quanta acqua è passata sotto i ponti da quella semplice parola, “vaffa”, che diede vita ad una vera rivoluzione alla quale, come purtroppo accade spesso nei partiti di oggi, i militanti veri hanno potuto contribuire con i loro voti ma della quale non sono mai stati davvero protagonisti. A loro, e molto meno a chi li rappresenta, auguriamo di (ri)uscir a riveder le stelle, anche se su tante cose la pensiamo diversamente.