Tempo di manovra finanziaria che, tradotto per chi non mastica i tecnicismi politici, significa: come governo e maggioranza spenderanno i nostri soldi.
Funziona sostanzialmente così: il governo predispone il testo, impegnando la maggior parte delle somme, mentre al parlamento, cioè ai singoli gruppi e parlamentari, viene riservata una quota minima per le proprie proposte che, normalmente, si riducono a interventi “per i territori”, cioè mancette elettorali, più o meno palesi.
Tra le pieghe della manovra, e andando oltre la contrapposizione politica, ci sono due interventi rilevanti non tanto in termini di costi quanto, piuttosto, per il valore politico che rappresentano.
Il primo intervento, poi ritirato in fretta e furia, riguardava l’aumento di circa settemila euro ai ministri non parlamentari per equipararne l’indennità a quelli che, invece, siedono anche in Parlamento. Uno squilibrio che, invece di essere risolto abbassando le indennità di chi siede già in parlamento. era stato colmato per eccesso, per così dire. Come già anticipato, il costo per le casse pubbliche era irrisorio, quello che appariva però ulteriormente allargato era il divario tra guadagni e benefit riservati alla classe politica rispetto ai comuni cittadini. Basti pensare che il nostro Paese, rispetto al resto d’Europa, vanta due dati opposti: reddito medio tra i più bassi e indennità per i parlamentari più alte. Una voragine tra cittadini e politici che nessun governo, incluso quello attuale, si è mai sognato di colmare; non fa eccezione la fase grillina, che è stata capace di ridurre il numero dei parlamentari, e quindi la rappresentanza democratica, ma non le loro spettanze, per non parlare dei benefici indiretti, conto in banca incluso, come recentemente scoperto dalla trasmissione Report. Forse in un momento di crisi economica, con la gente che smette di curarsi perché le liste di attesa restano chilometriche, si è preferito limitarsi ad un fondo per il rimborso spese di trasferta per i ministri non parlamentari. Staremo a vedere se verrà usato così o semplicemente hanno fatto uscire l’aumento dalla porta per farlo rientrare dalla finestra.
Il secondo spunto di riflessione riguarda l’aumento delle detrazioni per le spese sostenute per frequentare una scuola privata, da ottocento a mille euro. Anche in questo caso, non parliamo di spese folli, tipo centri in Albania o ponte sullo Stretto, ma di un messaggio preoccupante che non va trascurato, a maggior ragione poiché proviene da una coalizione che è uscita vincente dalle elezioni promettendo un” governo del popolo” e capeggiata da una Premier che si è fatta da sola, peraltro proveniente dalla tradizione della destra sociale.
Colpisce allora che, oltre a non aver minimamente avvicinato il mondo dorato dei politici alla gente comune, all’interno della manovra arrivi per giunta un aiutino alle scuole private in un momento in cui la scuola pubblica è ai minimi termini sotto tutti i profili. Gli esempi in tal senso potrebbero sprecarsi, basti la consapevolezza che, ad oggi, esistono tantissime scuole di frontiera, con pochi mezzi, servizi, personale e insegnanti che rischiano anche la propria incolumità per svolgere il proprio dovere di educatori, non più soltanto nelle periferie ma anche nei centri delle grandi città.
Non è che con quei duecento euro in meno si sarebbe fatto granché ma lanciare il messaggio che ogni centesimo sulla scuola vada indirizzato a quella pubblica avrebbe avuto un grande valore come segnale di impegno, attenzione e volontà verso una delle istituzioni cardine della nostra democrazia. Al contrario, una simile decisione può essere letta come ennesimo gesto di resa verso la scuola pubblica, ormai considerata un Titanic in lento affondamento. Vogliamo credere che non sia così ma, come qualsiasi elettore scottato da tante promesse mancate, attendiamo segnali ben più concreti di quelli richiesti a Gesù da San Tommaso.
In conclusione, va ribadito, per onestà intellettuale, che se, da un lato, parliamo di appena due interventi su centinaia all’interno di una manovra che investe un Paese intero, dall’altro è difficile non coglierne il profondo valore simbolico alla luce dell’attuale situazione di difficoltà nella quale versano i cittadini, i quali attendono ancora quel cambiamento che ogni governo ha sempre promesso ma mai realizzato e in mancanza del quale sarà difficile immaginare in futuro un calo dell’astensionismo.