Il primo sabato del mese mi fregano il portafogli. Scatta la telefonata per bloccare la carta Postepay. «Signora, le do il numero del blocco, vada con questo e la denuncia di smarrimento all’ufficio postale».
Il lunedì mattina parto. Prendo la lettera che più mi convince e aspetto. Venticinque minuti per tre numeri.
Quando è il mio turno, l’impiegata si alza e sparisce. Ritorna con calma. Mi spiega che non ho preso la lettera giusta. No, lei non può aiutarmi e stiamo bloccando tutta la fila. Prendo la nuova lettera. Dopo quarantasei numeri e un’ora circa, mi trascino allo sportello. Espongo da capo il problema. Il tizio solleva il naso occhialuto dalla denuncia: «Mi servono carta d’identità e codice fiscale».
«HO PERSO I MIEI DOCUMENTI, È SCRITTO LÌ, NELLA DENUNCIA CHE HA IN MANO». Ma l’impiegato non può farci nulla.
Due settimane dopo ci riprovo. Stavolta ho tutto. L’impiegata prende il pacchetto e sparisce dietro le quinte. Poi riemerge: «Signora, il direttore le chiede di fare un’integrazione alla denuncia. Dovrebbe far aggiungere il numero della Postepay».
Sento che sto diventando verde. L’impiegata mi guarda preoccupata. Si scusa ripetutamente quando le dico che è già la seconda volta che mi mandano indietro. Mi arrendo, ed esco cercando di focalizzarmi sulla parola autocontrollo.
Una volta a casa mi siedo sul letto. E caccio un urlo disumano.