Con “ Chianchieri” si fa strada, nella scrittura di Giankarim De Caro, l’intreccio narrativo tra genere storico e favolistico; un connubio pieno di novità e di reminiscenze letterarie che coniuga il piano consueto della ricostruzione storica di un periodo – in questo caso dagli anni ’40/45 del diciannovesimo secolo in Sicilia e in particolare a Palermo e sue borgate fino agli anni dell’ Unita’ d’Italia – ad un piano magico, con tutti i punti chiave della narrazione fiabesca di genere.
La Storia è sempre presente nei romanzi dello scrittore, vista in “Malavita” attraverso gli occhi ignari e l’esistenza ai margini dei “dannati” della società, protagonisti di quella sorta di “epopea” che viene ritratta con estrema verosimiglianza e narrata attraverso un lessico potente e realista. Altresì in “Fiori mai nati” romanzo altrettanto rappresentativo di una condizione storicamente, sociologicamente ed esistenzialmente tragica. La contezza estrema che l’ Autore dimostra nella sua ricostruzione storico-geografica di luoghi e vicende esistenziali estreme, nasce dall’esperienza di racconti, ascoltati sin da piccolo, di luoghi cercati e rivisitati e dalla sensibile intuizione di come potesse svolgersi la vita ai margini di una società divisa materialmente in due parti. La nobiltà da sempre arrogante e fiera ma anche profondamente triste e povera di valori se non le consuetudini annose da rispettare, la cui prosperità è legata alla Storia in misura della convenienza per il proprio mantenimento secolare; e tutti gli altri, quasi nascosti, che guardano da fessure lo svolgersi degli avvenimenti, l’alternarsi dei poteri politici, le guerre, le distruzioni conseguenti, la miseria, costante e sempiterna. E quelli che si arrangiano, facendo capolino tra questi e quelli, truffando, ingannando e illudendo. E sempre sfruttando. Gli aguzzini in genere delle donne, ma più estesamente dei miserabili.
De Caro, nella sua opera narrativa finora pubblicata, attraversa le vicende che vanno da circa la metà del diciannovesimo secolo agli anni ’90 del ventesimo. Con “Chianchieri” l’epicentro del tempo narrativo viene posto a metà, appunto, del 1800 negli anni che preludono alla spedizione dei Mille e alla conseguente Unità.
A Palermo e nelle sue borgate marinare e addirittura in case isolate lungo l’estuario del fiume Oreto si vive o si sopravvive lontani, e certo inconsapevoli degli accordi di casa Savoia col generale Garibaldi, e degli ideali di pensatori e politici settentrionali. E si ignorano soprattutto i garbugli di potere.
I chianchieri soni i macellai, proprio quelli che al macello uccidono e squartano le bestie. Sono addirittura dei fortunati, poiché possedere le tecniche tramandate di padre in figlio e il sangue freddo per portare avanti quel mestiere garantisce loro una vita meno atroce di quella delle masse di poveri che ci ricordano proprio i “Miserabili” dei bassifondi parigini di Victor Hugo.
Ma non ci sono fortunati tra i personaggi di De Caro e l’accanimento della sorte, l’ignoranza estrema, l’istinto non regolato da alcuna ragionevolezza, portano questi “primitivi” a non potersi evolvere e a rimanere vittime di violenza e frustrazione.
Ma anche la classe nobiliare vive una vita appartata, rinchiusa. Sicuramente agiata ma non meno infelice. L’ignoranza, la piccolezza degli orizzonti e la violenza sono comuni a tutto questo genere umano.
Il sangue sparso dalle vicende belliche, dagli eserciti e dalle resistenze, dagli ingannatori e dagli ingannati ma anche dai fedifraghi e dai sommari processi scorre per le strade della Sicilia, da Bronte a Palermo e si mescola al sangue delle piccole, miserabili vite travolte dalla gelosia, dalla perdita del possesso, soprattutto dalla perdita del possesso del corpo e del piacere della propria donna, considerata una proprietà, un possesso materiale, una cosa o un animale.
Il sangue del macello diventa il sangue dell’amico, per vendetta, tradimento, per il facile passaggio dalla fiducia all’odio più profondo. Un chianchiere, da sempre morigerato marito diviene un macellaio in casa propria. Un amico di sempre diviene un traditore . Su qualunque ragione prevale l’istinto, le pulsioni primarie e brutali determinano il corso delle piccole storie immerse nella grande carneficina della Storia. Chianchieri diviene il romanzo di tutti i macellai, di bestie e di uomini.
Ma in Chianchieri si lega alla narrazione di una realtà fosca e ineluttabilmente catastrofica un elemento ancestrale e illogico, profondamente embricato con la vita di tutti i protagonisti, di tutti gli attori di questo teatro di violenza, l’elemento magico-fiabesco.
La vita di tutti, sia nobili infelici che popolani disperati sembra retta da credenze, riti, figure ancestrali spesso inquietante fonte di devozione e simbolo di una sacralità non tradizionalmente religiosa ma superstiziosa. Molte speranze e paure, voti, sacrifici, offerte, risoluzioni di danni, premi e quant’altro vengono riportati di racconto in racconto da una fama che corre tra le viscere degli uomini e della società. Personaggi ed eventi straordinari legati al mondo della favola. Il favoloso scorre parallelamente alle vicende esistenziali e alla storia, inventando una dimensione parallela.
Poveri e ricchi, principi e chianchieri hanno bisogno di rivolgersi ad un potere “altro”, non razionale: il principe Spada non riesce ad avere figli maschi, il macellaio non riesce ad avere figli; a chi chiedere aiuto? In chi riporre sogni, speranze? In un mondo terrificante e primitivo, religioso a suo modo, un modo inquietante come sono tali le favole che conosciamo: la bella che riesce ad amare la bestia e renderla umana, la piccola che cerca nel bosco la salvezza e trova un lupo affamato, la principessa che va a ripulire la casa dei nani ma muore perseguitata dalla strega cattiva, i bambini fatti ingrassare da una mostruosa antropofaga.
In Chianchieri chi c’è ? C’è una vecchia dell’età del mondo, perduta alla vita, votata ai morti “decollati”, proprio loro, i decapitati. Come suo figlio che le è morto davanti e si è putrefatto davanti ai suoi occhi. Lei probabilmente ha perso la ragione per l’insopportabile dolore e ha donato la sua vita ai decollati, e con loro ha instaurato un dialogo, una preghiera per trovare rimedi al dolore della gente. Ma ad un prezzo altissimo, pene umilianti e insopportabili.
Da qui la storia continua. Il romanzo di base storica si arricchisce di elementi di cultura popolare, antropologica, magica. Di un patrimonio che vive accanto alle comuni vicende. Un romanzo dunque estremo e pieno di rimandi, di denunce, di assonanze. Affascinante per la commistione di vero e fantastico
Giankarim De Caro Ottocento Palermo