La cataratta

Avrebbe dovuto lavare i vetri, ma aveva rimandato. La pioggia, prevista e arrivata puntuale, cancellò i pochi sensi di colpa di Adele, che detestava le faccende domestiche ma non sopportava l’idea di demandarle a qualcun altro. Guardò attraverso il vetro sporco e non vide nulla, non perché fosse così sporco; c’era fuori una nebbia fitta, non anomala per essere una giornata di primo inverno, in ogni caso strana: pareva un’enorme nuvola scesa a quote impensabili a coprire la valle intera, come una grande coperta di bambagia grigio perla.
«Sarà arrivata anche sul mare?» si chiese Adele, che avrebbe desiderato vederlo da casa, sentirlo e averlo più vicino, ma non si poteva permettere una dimora “con i piedi in acqua”.
Quel suo panorama a forma di anfiteatro, le piaceva comunque moltissimo; il mare era là, oltre la collina e, in fondo, poteva guardarla e pensarla come Leopardi: fingersi infiniti spazi e sovrumani silenzi, nel pensiero, nella mente.
Una volta, un suo innamorato le aveva detto – non si ricordava a quale proposito – che la mente è l’unica cosa inalienabile dell’uomo; vero, aveva pensato. Poi, negli anni, aveva visto e incontrato tante persone disposte a vendere qualunque parte di sé, mente compresa, acquiescenti alla convenienza. Ne era rifuggita, isolandosi sempre più. L’elenco di costoro si era allungato parecchio e cominciava a dimenticarsene qualcuno.
«Ma poi – disse Adele tra sé – per quale motivo me ne dovrei ricordare?»
Con il passare degli anni aveva smesso di mascherare il suo senso di estraneità al mondo circostante, anzi; molti mormoravano di lei che era “una strana”. Si era spesso sentita così: strana, estranea al prossimo più o meno prossimo. Ora era una strana anziana, evviva!
Da tempo Adele si allenava a cogliere segnali, specie da quando aveva avuto la dimostrazione concreta che le voci sentite solo dal suo timpano sinistro avevano detto cose vere.
«Papà sta male» aveva sentito mentre in treno rientrava da una trasferta gioiosa. Tornata a casa, papà stava bene. Però la sera stessa era stato male, morto due giorni dopo.
«Non lo fare» le aveva detto papà all’orecchio sinistro mentre lei dava il benestare a un investimento, risultato quanto mai improvvido qualche mese dopo.
Dopo queste due inequivocabili esperienze, che gliene avevano ricordate altre, aveva pensato di non poter più sottovalutare quel che “sentiva” o “vedeva”. Certo, poteva trattarsi di fantasie, suggestioni, oppure no. Queste riflessioni la indussero a fissare lo sguardo – tutto intero, concentrato a vedere o sentire – nel fascino perlaceo della nuvola nebbiosa.
L’attenzione così vigile non resistette asettica a lungo. La forma della nuvola assunse presto contorni noti, che erano lineamenti. Sarà stato l’inizio di una cataratta diagnosticata qualche giorno prima, ma Adele non si fidò di ciò che riconobbe, anche se era bellissimo.
Credette di vedere suo padre: non anziano e stanco come lo ricordava negli ultimi anni insieme; neppure giovane e bellissimo come non lo aveva mai conosciuto se non nelle fotografie di famiglia. Chi le veniva incontro sulla nuvola nebbiosa era il suo papà di quando aveva appena iniziato a frequentare la scuola: era lui nel pieno della maturità, dell’impegno, del lavoro, della presenza attiva alla sua educazione. Aveva la stessa corporatura lievemente appesantita dal benessere e dalla golosità innata. Avanzava lieve, a passi lenti. Sorrideva come quando era contento di lei, di qualche suo commento alle spiegazioni che le dava.
Lo guardò fisso quando anche lui si fermò, ad osservarla: era fuori dal vetro chiuso della finestra. Adele sentì l’istinto di aprirla e corrergli incontro: «Ma dove vai?» si disse subito dopo. Stava solo immaginando, cercando nella nuvola forme che un vento leggero iniziava a modificare. Solo forme sfocate. Tutta colpa della cataratta. Tutto quanto vedeva, sfocato o nitido, era solo nella sua mente.
Si stropicciò gli occhi e guardò di nuovo: papà era ancora lì, si era seduto sulla nuvola.
«Ho i vetri da pulire, sarà meglio che lo faccia» disse Adele a mezza voce, per riportarsi alla realtà; poco prima di decidersi, però, cambiò idea: «Proprio ora? No, ora no».
Sarà anche stata immaginazione, ma era così rassicurante vedere suo padre seduto sulla nuvola a poca distanza da lei, oltre la ringhiera del terrazzo, sospeso sulla strada sottostante. Era così bello vederlo sereno e, a un tratto, interessato a guardarla meglio perché Adele sentì la voce di suo padre che le diceva di lasciarsi guardare.
Si allontanò dal vetro, si mostrò con una giravolta da indossatrice, si sentì una ragazzina. E sentì lui che le diceva: «Come sei bella!», come quando era riuscito a vederla, appena dimesso dall’ospedale dove lo avevano operato all’unico occhio ancora sano. Operato di cataratta…
«A breve, mi tocca…» pensò. Nascondeva il timore anche a se stessa. Sarebbe riuscita ancora a leggere e a scrivere? Doveva leggere e scrivere così tante cose… Quanto tempo aveva speso in altro, invece di…
«Hai agito per il meglio, finora».
Adele sussultò: aveva sentito più forte la voce, la sua voce nel timpano sinistro, la sua di papà!
«Fai con calma; non ti arrovellare; stai tranquilla e ricordati…».
Cosa, papà?
Adele gridò, o forse no, rispose d’istinto a voce alta, guardando attraverso il vetro che non aveva lavato, sulla nuvola nebbiosa color perla che non c’era quasi più: una brezza l’aveva dissolta e una nuova pioggia più fitta aveva iniziato a cadere sul panorama quotidiano.
«Io ci sono».
Ma dove, papà?
«Lontano. Ti guardo da lontano».
Arrivarono nuvoloni scuri, poco rassicuranti. Un tuono rimbombò nella valle. La pioggia cadde più intensa, quasi non si vedeva più niente, con o senza cataratta.
Adele dirottò tutti i pensieri sulla nuvola color perla, scomparsa, lontano. Non era opportuno lavare i vetri in quella circostanza.

5 commenti su “La cataratta”

  1. Bello. E non importa sapere se sia stata la pioggia, la cataratta o la polvere sul vetro ad impedire una visione più nitida agli occhi. Certamente non c’era nebbia sul cuore tra una figlia e suo padre😍

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