Chissà. Chissà se, festeggiando venticinque anni fa il passaggio del millennio con santabarbare rinforzate, fiumi di bollicine e i soliti, patetici concertoni immutabili nel tempo, abbiamo avvertito nei precordi quella fitta quasi impercettibile. Quel certo non so che deputato a guastarti la festa tanto attesa, quella vocina lontana lontana che non smetteva, odiosa, di sussurrarti all’ orecchio l’ antico ammonimento “mille e non più mille…” proprio mentre ti scatenavi in una danza sguaiata, a piazza del Popolo o a piazza Duomo.
Certo è che questo Capodanno la vocina si è fatta grossa, iniettando dosi industriali di angoscia nelle povere vene, oltretutto invecchiate di un quarto di secolo e provate da guerre e pandemie.
A Roma, vecchi e giovani si sono voltati le spalle: piazze e musiche diverse, a sottolineare un’ incomunicabilità ormai ufficialmente dichiarata. A Milano, tra sventolii di bandiere palestinesi, turche, irachene si registrano soprattutto aggressioni sessuali di gruppo per le malcapitate turiste europee.
Italiani o stranieri che fossero gli aggressori, l’ anello debole in senso fisico rimane fisso e invariabile: la donna, colpevole trasversale più o meno per ogni religione.
Chi, e sono tanti, non ha avuto voglia di bivaccare in piazza come ai vecchi tempi, si è ridotto alla contemplazione pressoché inerte dei volti ormai decrepiti che dalla tv ci fanno auguri sempre meno credibili. Moriranno probabilmente con noi e con il “teleschermo” che ci ha allevato, povere maschere da avanspettacolo buone ormai solo per le RSA casalinghe che ospitano le generazioni ancien regime, ridotte al non voto, allo straniamento totale e alla solitudine di occhi illuminati da gelidi display, in cerca, allo scoccare della mezzanotte, di un saluto o di un abbraccio virtuale da parte di figli e nipoti già salpati verso rotte ignote e spaventose. Oceani di un’ aldilà da condividere coi robot da loro stessi progettati. Nella speranza che sappiano tenere in mano la bussola del futuro.
Nonostante tutto, Buon Anno.