L’uomo dei piccioni

 

Lo vedevo quasi tutte le mattine. Vecchio, più o meno la mia età, la giacca a vento bianca, il cappello di pelliccia. Sempre seduto sulla stessa panchina. Ai suoi piedi, un saltellare di piccioni. E lui che li attirava lì vicino, buttando in terra briciole di pane. Andava avanti così per delle ore, sorridendo se un uccello gli beccava una pantofola. Ogni tanto gli scappava una parola. Dal tono sembravano domande. Alzava gli occhi al cielo. Scuoteva la testa e tornava a dare il pane ai suoi piccioni. Quando finiva il pane, prendeva un giornale dalla tasca della giacca, lo apriva e lo leggeva per un po’. Al tocco di mezzogiorno, se ne andava.
Oggi non è tornato. I piccioni lo aspettano tubando. Non so chi fosse. Non so dove abitasse. Un giorno, mentre passavo accanto a lui, i nostri sguardi si erano incrociati. «Buongiorno», ci eravamo sussurrati. «Mario», avevo detto, allungando la mano. «Giuseppe», mi aveva risposto.
Da quella volta non ci siamo più parlati.

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