«Ah, però, mica te li davo! Ma lo sai che li porti bene?»
Già, pensi tu, però li porto. Ma dove li porti, tutti questi anni? Tu sei l’autista, loro i passeggeri.
Prima ti trovi a guidare una moto, poi un’auto, un pulmino, infine un autobus; un lungo autobus che, se il tuo mestiere va avanti, può pure diventare a due piani. Solitamente il viaggio è lo stesso, tutti i giorni. Ma capita anche di andare lontano, città nuove, paesi nuovi, il mare. Loro ti seguono sempre, si fidano di te.
Il pensiero va all’indietro, e tu sorridendo rammenti quanto fossero rumorosi e irrequieti, quando ancora erano pochi. Si sono calmati via via, mano a mano che la compagnia diventava più numerosa. Anche i loro discorsi sono cambiati; una volta sentivi solo parlare di progetti, ora soprattutto di ricordi.
Guardi nel retrovisore; sono tanti, accidenti, una bella responsabilità. Però devi essere un bravo autista, perché nessuno scende mai. Anzi, succede, se ci pensi bene, che a intervalli regolari salga qualche nuovo passeggero. Tu gli fai il biglietto, lui ti paga con una candelina e va a sedersi.
E tu li porti, qualche giorno con voglia ed entusiasmo, qualche altro malvolentieri e con fatica, ma li porti. Fino al giorno in cui, anziché un nuovo passeggero, sale un tipo con la divisa da autista.
È gentile, ti stringe la mano, ti prega di accomodarti nel posto accanto, quello che di solito nelle gite spetta alla guida. Poi si siede al volante e mette in moto. Tu, un po’ sorpreso, gli chiedi a bassa voce: «Ma dove andiamo?».
Lui gira poco poco il capo, ti guarda con un sorriso furbo, da monello.
Poi ingrana la prima e parte.