Ho voglia di una sigaretta. È una cosa senza senso? No, è solo questione di sensi. Il tatto lo sa. Afferro il pacchetto. Ne valuto il peso. Lo apro. Dieci sigarette sono tante. Le vedo. Se ne stanno ancora dritte, dieci sigarette. O è la mano che le tiene in equilibrio?
Ho voglia di una sigaretta. Tra indice e pollice il cartone si piega. Scuoto il pacchetto. Ascolto. Socchiudo il cappuccio. Le sigarette s’inclinano come i bastoncini dello shangai. Sono poche. Non voglio contarle. Basta. Meglio non sapere.
Ho voglia di una sigaretta. Apro e faccio scivolare le sigarette su di un lato. Misuro il vuoto.
Saranno cinque. Sono pochissime. Ancora meno di una sola. La matematica del tabagista è ascetismo algebrico. Se fosse una sola, potrei annusarla per ore prima di gustarla. L’estasi dell’astinenza. Cinque sigarette vanno in fumo e non te ne accorgi.
Ho voglia di una sigaretta. Esco. Il pacchetto semivuoto è nel taschino. Batte il conto alla rovescia. Quattro. Tre. Due. Ne compro uno nuovo. Tiro la linguetta. Sono di nuovo venti sigarette, compatte, ordinate. Posso fumare, per un tempo infinito.