Romanzo d’appendicite

 

Mi hanno detto basta con le storie autografe. Allora io ho inventato tutto, ho pure scritto “ogni riferimento” e quella roba là. Però diciamo che la protagonista è spirata a me. La storia parla della figlia femmina di un vecchio pescatore. Della figlia maschio so nulla.
Questa ragazza sensibile e bella, con la chioma d’orata e la pelle d’aringa… d’avorio, d’avorio, vive rinchiusa, perché è intollerabile alla luce, tanto che, spesse volte, e volte sottili, volte a cupola, a botte-boh-che-ne-so, viene un’ambulanza a sirene spietate per portarla in ospedale. Che spreco, con quella casa degradante sul mare. Ma non’ostante questo, la ragazza vive a suo adagio, si consola con la letteratura.
Ho voluto fare questa cosa un po’ romantica e l’ho scritta alla vecchia maniera, con penna e calamaro. Ho descritto cose su cui sono afferrata, che poi sennò lo so già come va a finire, succedono i qui quo qua con i lettori, che poi mi scrivono che questo non è esatto, quell’altro non va bene. No no, per carità.
Come ambientazione mi sono spirata agli squarci che osservo dalla mia finestra.
Anche a qualche lacerazione? mi ha chiesto mio marito. Non sempre capisco le sue battute.
Ad ogni modo, questi squarci li ho già usati in altri racconti che pubblico sul giornale della parrocchia. È un lavoro santuario, ma mi da molte soddisfazioni. Ho pure un blog e tanti lettori che leggono, alcuni fanno battute incomprensibili come mio marito.
Tempo fa uno mi scrisse una cosa cattiva però. Mi disse di studiare, che manco la conseguenza temporum e la madre della lingua conosco. Di attenuarmi alla grammatica, che sto, fa, su, non vogliono l’accento. E mica non lo sò. Scrisse che “in fondo” si scrive staccato e che Quel che puoi infondere, al massimo, è il raccapriccio nei lettori, che di fronte ai tuoi scritti fuggono a gambe… elevate!

Devo dire che all’inizio ci sono rimasta male, anzi, ho proprio pianto, in senso letterario.
Ma la passione è più forte, sapete? Non demorsi, non demordei, non demordetti…
Continuai a scrivere, a perseguitare l’obiettivo. Ho perpetrato e vinto. La mia tenaglia è stata premiata: un editore lungimirante si è detto entusiasto del mio romanzo. Lo ha pubblicato seduta standa, per soli mille euri. I maligni da quel momento sono aumentati in maniera esponente, dicono che il mio non va bene manco come romanzo d’appendicite, un fogliettone. Ma io a quello lì e ai suoi pari ribattei, ribattetti, ribaltai… risposi: A quale scrittore non è mai capitato un lapis?

 

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