Pietra di paragone

 

Non le piaceva indossare quel vestitino di sangallo bianco e azzurro che la faceva più piccola dei suoi tredici anni. Si guardò nello specchio: la stoffa leggera tirava un po’ sui seni acerbi.
Stava andando da Enzo, o meglio dall’Elide, a comprare il sale. Da quando avevano cominciato a guardarsi, loro due, a casa c’era sempre bisogno di sale, fiammiferi o francobolli. Quando lui la vedeva arrivare dallo stradello della chiesa, accostava le imposte del negozio, che era una stanza a piano terra della grande, vecchia casa.
Venivano pochi clienti, dunque potevano restare soli a parlare a lungo, in penombra. Anna quasi tremava e arrossiva quando lui la circumnavigava con gli occhi. Quella mattina di luglio le sfiorò i capezzoli con una matita, come seguisse il disegno del loro desiderio. C’era il bancone fra di loro, poi non c’era più. L’avevano perso in un bacio, il primo di tanti.

Capitò due anni dopo, a ferragosto. La bugia era che dovevano fare un picnic con la Carla e la Mirella. Sarebbero andati su fino al monte e Anna doveva portare l’anguria.
La portò, infatti, per un bel pezzo. Ma poi c’era caldo, era pesante e così la lasciò dietro una siepe a Cà di Giano. Enzo era già lì, da solo.
Dio, com’era bello! C’era un grande castagno, un prato in discesa, forse. La zittì con un bacio. Per giorni e giorni, dopo, continuò a rivivere il momento in cui le aveva sfilato le mutandine e le era entrato dentro. Niente dolore, nessuna fatica. Il suo odore addosso per la prima volta.

Erano passati cinque anni, di lì a un mese Enzo si sarebbe sposato con Luciana: alta, bionda e molto ricca. Si erano conosciuti a ballare.
Anna, a ballare, i suoi non ce la lasciavano andare e non volevano neanche che stesse con Enzo, perché suo papà era comunista e, insomma, adesso lui e quell’altra aspettavano un bambino.
Enzo e Anna continuavano a vedersi. Lui passava a prenderla al lavoro e andavano in un piccolo albergo alla Bruciata, appena fuori l’autostrada, a fare l’amore.
Quella notte sarebbe stata l’ultima. Anna aveva una sottoveste nera col pizzo, lui gliel’aveva sfilata facendole alzare le braccia per prenderle i seni con le mani e disegnarli tutt’intorno con la lingua, come quella volta con la matita, quando erano ragazzi.
Si era svegliata tutta stropicciata, la sottoveste sollevata sulle cosce aperte, la testa di lui fra le gambe. La sua bocca, la lingua, un bacio nuovo, diverso.
Un’altra prima volta. Pietra di paragone per quelli che sarebbero venuti dopo.

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