Erano cinquantacinque giorni che non dormiva. Poi decise che avrebbe fatto cadere il governo e Morfeo arrivò. Sprofondò tra i cuscini del letto di Putin, glorioso campo di battaglia che lo aveva visto dormire assai poco. Dieci ore di sonno. L’avesse saputo, l’avrebbe fatto prima.
Non respirava più. Sonnecchiava. Indossò occhiali da sole, per nascondere la cosa. Imparò a dormire in piedi, come i cavalli.
La fidanzatina sentiva un ronfo continuo. Pensava fosse il cerone sul punto di cedere. Invece era lui che russava. Lei incominciò a sospettare qualcosa quando s’avvide dell’eccessiva confidenza con Dudù. Lui girava con il cagnolino sulla spalla, perché era morbido come un guanciale e poteva appisolarsi. Ormai dormiva dappertutto. Parlava nel sonno e diceva cose senza senso. Non era la prima volta e i suoi, come sempre, facevano finta di capire.
Il seggio in senato era comodo quel giorno. Velluto rosso e della qualità migliore. Gli altri si stringevano intorno e lo cullavano colmandolo di attenzioni. Un’irresistibile ninna nanna. Poi un guasto al microfono. Un rumore fastidioso e repentino. Si svegliò di soprassalto. E disse la prima cosa che gli venne in mente. Applausi.