Autunno, tempo da risotto. Vado per zucche. Le piacentine, verdognole, un po’ schiacciate, non troppo grandi, la Marisa le ha raccolte prima che la nebbia le guasti.
Le metto in un cesto sul balcone affinché prendano il sole di ottobre e stiano all’aria. Non è come avere un’aia, o uno spiazzo in una corte, ma il risultato non è male.
Sono nata in montagna, la mia infanzia ha il sapore delle patate, delle castagne e dei funghi. Niente zucca, non mi piaceva proprio, a casa mia non la si metteva neanche nel minestrone. Ora sono, da anni, una di pianura, e ho imparato ad amare il suo sapore dolciastro, che così bene si sposa con quello forte della mostarda e il saporito del parmigiano nei tortelli.
Poi c’è il risotto, che la zucca lo dipinge, lo sfuma dal giallo all’arancio, lo fa bello per gli occhi e lo profuma.
«La nonna ti fa il risotto arancione, Marcello?». Lui ha due anni, l’arancione è il suo colore preferito.
Scelgo la zucca, la lavo, la asciugo e la metto nel forno tagliata a grossi spicchi e con la buccia. Non la faccio proprio cuocere, solo scottare, così è più facile sbucciarla – da cruda ci si spaccano le mani. Dopo averla sbucciata la taglio a cubetti non troppo piccoli e la metto da parte. Faccio rosolare nel burro un piccolo scalogno e ci aggiungo il riso: tre pugni a persona, più tre per la pentola, come diceva la nonna. A casa mia, che siamo dei gran “risai”, anche qualche pugno in più e non ne avanza mai.
Quando il riso è tostato, ci va una spruzzatina di vino bianco. Lo lascio sfumare e aggiungo i dadini di zucca: belli, arancioni, profumati, sodi. Porto a cottura con il brodo di carne ben sgrassato. Lascio riposare aggiungendo un po’ di burro a fuoco spento, per mantecare, e tanto parmigiano.
Come dicono ora i grandi chef, impiatto questo trionfo di arancione, morbido e cremoso.
I bimbi, anche quelli che sono diventati grandi, con la forchetta schiacciano il riso e lo allargano sul bordo del piatto perché si raffreddi. Io me li mangio con gli occhi.
Immagine: Sabrina Suadoni