Basse nuvole violacee s’addensavan sulla costa che die’ Lari e Penati al Mazzini, al Garibaldi, agl’avi nostri.
E venne la notte. Era una notte buia e tempestosa…
Colvieux era stata esiliata da facebook. Avevo letto la trista novella sulla bacheca di Enzo, un patriota romano del ‘48, ed ero inquieta. Colvieux, una pasionaria, dal nome stendhaliano. Pregai l’Iddio del Manzoni che potesse presto tornare fra noi patriote, feci una frugale cena, poi mi riconnessi. Ero stata esiliata anch’io. I birri del social network mi chiedean, per ripassare il confine, nell’ordine:
I – Lasciapassare de Le Guardie Padane, un corpo di alpini neonazi affiliato all’Imperial-Regio Esercito austriaco.
II – Carta bollata del Regno de Le Due Mafie che attestasse la mia affiliazione a una cosca di colà.
III – Una tessera di Forza Granducato, la nuova fazione del borgomastro di Firenze, cara all’anima bipartigiana degli Alsazia-Lorena e alla lor speme di lascia’ poderi intatti.
In alternativa, un certificato di minus habens o valletto che accertasse il mio permesso di soggiorno nello Stato Pontificio.
Non avevo nulla di tutto questo. Sabauda dissidente fino alla morte, avevo solo una residenza nell’avito maniero, fra boschi irti di rovi, nella mia Liguria.
Noi credevamo. Noi credevamo nell’unità del Regno e delle donne che ovunque da salotti, locomotive e cucine spingean per una giovine Italia. Noi credevamo in un volgo disperso che nome non ha, e anche in una buona classe dirigente con pari quote donna-uomo, tanto per non farci mancare nulla.
Che fare? Mi domandai, anche se Lenin ancora non era nato. Chiamai Agnese e le feci recapitare una missiva al patriota Paolao Sfrantzine, un bolivarista brasileiro già attivo nelle guerre sudamericane, nonché infiltrato nel papato di Pio IX con la scusa della squadra di badminton. Egli, presa la nera mantella e il destriero, cavalcò furibondo fino al castello di Donna Giovanna. Disse la Parola Magica – Noi credevamo – e il portone si spalancò.
Donna Giovanna, una cavouriana dissidente, dava una festa, quella sera. Dame d’Italia e d’oltralpe si erano riunite per stabilire una linea chiara fra il re di Sardegna e la Francia. La Castiglione indicava possibilità, civettando determinata. Noi credevamo. Noi credevamo che tutto fa brodo. E come darci torto?
Paolao ebbe un gran successo fra le dame, ma non dimenticò di trasmettere la missiva a Donna Giovanna. Nel contempo giunsero altre voci d’esilio. Tutte donne, le più seguite patriote, a parte Jean Pierre Baptiste, un tiepido corrispondente francese, che avea però come unico torto il non essere iscritto a Forza Austria.
Che ci faceva Jean Pierre “Gipì” Baptiste in quel gruppo di facinorose? Stavano facendo fuori anche i liberali moderati?
Sandro, un garibaldino mio amico fin dai tempi della Repubblica Romana, mi mandò una missiva protetta da ceralacca per avvertirmi del pericolo imminente.
Caricai lo schioppo. Io credevo.
Vennero. Vennero nella notte. Bussarono forte. Dissi: «Sappiate che ho scritto già una lettera al governatore della Libia … ». No, quella era Giuni Russo, scusate, duecento anni di memoria a volte mi fanno fare dei casini.
Dissi: «Se non revocate le inique messe al bando, domani Garibaldi muove le sue truppe a prescindere da Re Giorgio … ». Ah no, scusate, era Vittorio Emanuele.
Il fine giustifica le mezze tacche? No. Il fine era solo quello di qualche hacker austriacante che non credeva in nulla se non nelle coscie* di Madame de Santanche, forse, e voleva ledere le altre donne d’Italia, incluso Jean Pierre “Gipì” Baptiste? Oppure fine non c’era, solo il puro caso?
I birri se ne andarono. Tornaron dall’esilio tutte le splendide dame, nonché Jean Pierre. Lieto fine?
Restammo inquiete, in sull’uscio dei nostri manieri, richiamammo i cani. Noi credevamo.
*Nota: per la lectio “coscie”, l’autrice rimanda allo scapigliato lombardo Carlo Alberto Pisani Dossi (1849-1910) http://www.adelphi.it/libro/9788845903809