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Nelson Rolihlahla Mandela il ribelle

Alla fine neppure tu sei stato invincibile, vecchio Rolihlahla, “il combinaguai”.
Mai nome fu più azzeccato. Giovanissimo ti sei messo contro la tribù rifiutando di sposare la ragazza scelta dal capo. Da lì una continua lotta per la liberazione dei neri da tutte le schiavitù. Quelle dei bianchi e quelle degli Xhosa. Il tuo clan, la tua gente con quel modo di parlare così particolare. I click: lo schioccare della lingua che segna la metrica delle parole, ma anche dei sentimenti. La lingua sul palato, infatti, costringe a sorridere anche per dire cose come “il popolo sarà l’incudine e la lotta armata il martello”.
E poi, diciamolo, la lotta armata era più che altro immaginata, a volte un po’ giocata, nulla più. Per questo nulla hai trascorso quasi trent’anni in galera. Che bel guaio ti hanno combinato, caro combinaguai. Tuttavia, proprio nel carcere, hai imparato a vivere senza paura la minaccia degli anni. Più tempo trascorrevi in carcere più si accresceva la minaccia per gli stronzi razzisti. Così, una volta libero, hai trovato il regime già bello e sgretolato. Hai pensato, hai creduto che non ci sarebbero più state divisioni, che nessuno sarebbe più stato messo da parte. Non ti sei reso conto che non è il colore della pelle a discriminare ma, in ogni latitudine, sono la povertà e la malattia. E sia l’una che l’altra nel tuo paese hanno flagellato i fratelli neri. L’Aids e il debito con il FMI li hanno precipitati in condizioni sociali ed economiche peggiori di quelle in cui vivevano durante l’apartheid.
Ora, dopo aver vissuto quasi cento anni lottando per la pace e la prosperità del Sudafrica, sei arrivato a destinazione, mentre il tuo popolo è ancora in cammino sulla strada che non ha visto e che non vedrà più Mandela.

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