L’amore al tempo dei supplementari

È Bibbia: c’è un tempo per ogni cosa. Prima ci fu la pillola. Andò benissimo per imparare a scambiarci i corpi. Ma una ragazza non può impasticcarsi per trent’anni. Venne il tempo delle barriere in lattice, da mettere un po’ per uno. Il diaframma però è complicato: mani lavate per posa e controllo, dopo i fuochi niente bagno. No se puede in riva al mar scherzare con l’amor, lo dice pure Arbore. Con l’incappucciamento è più semplice ma per essere sicuri ci vuole la crema, e non la chantilly. Decisero che in Italia di spermicidi non se ne dovevano più vendere, solo in Vaticano.
Fu il contrabbando. La nostra fida amica inglese andava in farmacia: quattro tubetti per volta da spedirci sottobanco. Avranno pensato si divertisse da matti. Sulle confezioni c’era un’etichetta col suo nome, li spremevo con imbarazzo.
Poi il tempo giocò per noi. Quella sera, a Pantelleria, scendemmo sulla scogliera, mare e luna a testimoni. I capelli non erano più quelli della pillola: radi i miei, tinti i suoi. Gli anni passati a spremere tubetti altrui, come le rocce di lava, ci sostenevano, senza scordare il fuoco delle origini. Era venuto il tempo di non pensarci più.
Nessuno ci avrebbe visto: tutta l’Italia era alla TV per la finale dei mondiali. Si andò ai supplementari.
Fummo una cosa sola, pelle su pelle, nessun intermediario tra desideri e spasmi. Liquido nel liquido. Come le onde sulla scogliera, così io in lei. Senza rivestirci ci tuffammo nel tramonto. Sale e pelle di mare nell’acqua salata.
«Oh, non ci saranno mica le meduse?»
«E no, eh!»

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