Spiagge libere, spiagge private

 

Marina di Lizzano è in provincia di Taranto. I nordisti che ci hanno onorato della loro presenza, sanno di cosa parlo. Più d’uno mi ha interrogato sul perché cotanto ben di Dio non fosse valorizzato. Marina di Lizzano non ha nulla da invidiare ai Caraibi. Chi passa di qui, di rado ne dimentica colori, silenzi, odori, sapori. Il litorale salentino è confuso, variegato, caotico. La spiaggia pubblica è attaccata a quella d’elite. Le separa una staccionata. Quelle libere sono prese d’assalto dall’alba fino al tramonto inoltrato. Sono meta di genti che si portan dietro ogni tipo di vitto e alloggio. Per alloggio intendo tende da campeggio, ombrelloni, sedie e sdraio di ogni tipo, forma e colore. E dove per vitto mi riferisco a tutto ciò che di commestibile esiste. I più attenti alla linea e al marketing territoriale si nutrono di friselle che inumidiscono con acqua jonica e che condiscono con pomodorini pachini scarlatti, un filo sottile sottile d’olio e una nevicata d’origano. Il sale non serve; ci hanno pensato il mare e le dita di salsedine a condire. I pastaioli hanno munizioni di pasta al forno che “guai se non la finisci tutta!”, a costo di rischiare una congestione! I bambini sono lì solo per sguazzare e costruire castelli di sabbia al limite della licenza edilizia, ma le mamme non transigono. Quando scoccano le 13.30, si mangia. E il bagno solo dopo 3 ore e mezza. I carnivori possiedono tutto l’occorrente per la grigliata. Quell’odore porta il silenzio su interi chilometri di litorale. Gli amanti del pesce seguono lo stesso rituale, cambia l’ospite da immolare. Tutti i pasti terminano con l’anguria. Immensa, vermiglia, dolcissima. Alla fine, piatti e posate di plastica, rimasugli, cartacce, scatolame e recipienti di alluminio finiscono in giganteschi bustoni neri. Tutte le famiglie invernali si somigliano; ogni famiglia è estiva a modo suo. Nella spiaggia libera, la parola d’ordine è iperattività. Le signore curano il proprio spazio come fosse casa. Preparano, rammendano, apparecchiano, sparecchiano. I signori fingono di seguire i figli e invece pedinano colorati gruppetti di single radical chic che, munite dell’ultimo libro di Murakami, nelle spiagge dei fighetti non ci mettono piede, per principio. Le comitive di intellettuali squattrinati contemplano il paesaggio e discutono di come la speculazione edilizia stia, anno dopo anno, distruggendo il lavoro perfetto di madre natura. I loro padri, il più delle volte, di mestiere fanno gli speculatori edilizi. Pasti esclusi, in tutte queste ore, le attività principali dei giovani (categoria che oggi va dai 17 ai 47 anni) sono lettura impegnata, lettura leggera, leggerissima e peso piuma. Dibattiti intrafamiliari, politici, sentimentali, sociali ed economici. E poi gossip. Molto gossip a soggetti alterni: vip e comuni mortali. Il pathos e l’empatia sono identici, cambiano solo i soggetti che in un caso fanno parte del jet set e nell’altro della propria cerchia di familiari e conoscenti. E poi c’è lo sport. Nelle spiagge pubbliche tutti si riscoprono campioni di qualche sport: beach volley, beach tennis, beach soccer, nuoto, nuoto sincronizzato, corsa, pesca subacquea, vela, surf, rafting, acroland. D’inverno non ci si alza dal divano neanche sotto minaccia di morte.
Le spiagge private invece sono piccole oasi paradisiache. Ombrelloni grandi e accoglienti. Lettini muniti di enormi cuscini. Musica d’atmosfera. Personale sempre pronto a soddisfare ogni richiesta. Zona solarium. Elegante bar e tavola calda. In queste spiagge si parla di meno e ci si concentra di più a non sbagliare l’abbinamento costume-scarpa-pareo. C’è il bar, sì, ma al massimo ci si concede la muosse di caffè, il mojto, un the freddo con cedrata, grandi piatti di frutta tropicale. Le tradizioni si rispettano meno da quest’altra parte della staccionata. Niente sport. Le uniche attività fisiche prevedono il mettere e rimettere la crema solare, adagiarsi sul lettino o sul materassino che è rigorosamente in tinta con il costume! Ogni lettino ospita il proprietario, un tablet e un palmare. Qui la parola d’ordine è connettività. Si scrive, si chatta, si telefona, si mandano messaggi, si fotografa e si condivide passo passo tutto quello che accade sul web. La pagina di facebook viene costantemente aggiornata con foto e tag. Guai a dare false coordinate geografiche, si viene smascherati al primo aggiornamento di stato. Mandrie di donne curatissime, con manicure e messa in piega appena fatta si confrontano sulla propria condizione umana. Uomini depilati e lucidi osservano, con sigaro in bocca, il sesso opposto a metà tra l’annoiato e il timoroso. Il massimo che l’interazione prevede è qualche fugace scambio di sguardi. Interrotto, sul più bello, dal trillo del telefono o dal bip di un sms. Evidentemente quello che succede, o potrebbe succedere, via etere deve essere percepito di gran lunga più interessante. A torto.

 

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