C‘era una volta in un regno lontano un focolare sporco di cenere. Cenerentolo era un ragazzo la cui avvenenza era mortificata dal nero della fuliggine che gli arrossava gli occhi e gli sporcava la pelle. Costretto dal patrigno a tener pulito il focolare, Cenerentolo respirava cenere e sognava cipria. Per questo le sorellastre e il patrigno lo prendevano in giro.
«Ehi, uomo di casa» gli dicevano sbeffeggiandolo. «Fai questo, fai quello, vai lì, vieni qua!». Lo comandavano a bacchetta.
Intanto, nelle segrete stanze del castello i sovrani tenevano consiglio. Il principe aveva raggiunto la maggiore età, ma non voleva saperne di prender moglie. Inutilmente lo forzavano a godere dei benefici della sua posizione. Il re più volte aveva istruito ciambellani e cortigiani, perché offrissero al figlio occasioni di svago ormonale, ma il ragazzo aveva resistito a ogni tentazione, il che aveva alimentato più di un sospetto. Per mettere a tacere le chiacchiere, la propaganda di palazzo sfornava veline che celebravano i sani appetiti dell’erede al trono, dipinto come un libertino e un gaudente, sempre in cerca di nuove fanciulle da sottomettere al giogo.
Quando si udì l’araldo di corte strombazzare l’annuncio solenne Un gran ballo al castello, per scegliere una moglie da dare al principe, i sudditi esclamarono in coro: «Era ora! Finalmente ha deciso di mettere la testa a posto, quello lì!».
Il patrigno fece debiti per agghindare le figliastre, che proprio belle non erano. Cenerentolo ebbe il coraggio di azzardare: «Come mi piacerebbe partecipare al ballo!» e gli sghignazzi del resto della famiglia non si fecero attendere. La sera del ballo la porta di casa si richiuse sul broncio grigio cenere del ragazzo, mentre una coda di irripetibili vituperi ancora risuonava nella stanza.
«Non piangere, pucci pucci» fece la fata, apparsa d’incanto in un trionfo di luci psichedeliche.
«E tu chi sei?» chiese Cenerentolo. «Lady Gaga? Barbara Streisand? Madonna?» La fata non si offese, essendo buona come tutte le fate, e agitando la bacchetta compì il miracolo. Cenerentolo si vide allo specchio e non si riconobbe.
«È la prima volta che mi vedo per come sono!» disse con un fremito di gioia.
Al ballo il principe si annoiava. Le squinzie si inchinavano al suo cospetto, facendo vibrare seni e labbra a canotto. La regina in apprensione guardava il figlio che sbuffava. Il re faceva l’andirivieni e si diceva “Che figlio degenerato!”
Poi il volto del principe s’illuminò. Sulle note di un vecchio successo dei Bee Gees, comparve lui, Cenerentolo. La corte per la prima volta vide il rampollo reale scatenarsi, comporre e scomporre coreografie di sorprendente destrezza.
«Non l’ho mai visto in questo stato! Non sembra lui!». Alla regina salirono le lacrime agli occhi.
Scoccò la mezzanotte e Cenerentolo piantò in asso tutti e corse via. Il principe si lanciò all’inseguimento, ma il buio lo avvolse. Sui gradini del palazzo, brillava una scarpetta. Il principe la raccolse e sospirò: «Troverò chi l’ha persa».
Fu facile. Era una scarpetta numero 46.
Beh, poi la fiaba andò a finire come tutte le fiabe. Vissero felici e contenti… in Siberia.
Immagine: Sabrina Suadoni