Per scappare dalla borgata ci vogliono consulenti

 

Aveva un nome da capo indiano, lo chiamerò Orso Mansueto. Stessa determinazione nello studio e nel lavoro. Più grande di noi, ma un anno scolastico indietro. Al liceo eravamo duemila, figli del baby boom, in quel quartiere bene pieno di parchi: un’oasi in tanto cemento. Lui però veniva dalla borgata, e a qualcuno dava fastidio che stesse al liceo e non al professionale. In più aveva la moto. Non il solito Gilera monocilindrico scassato, ma un quattro cilindri con scarichi cromati e freni a disco: roba da centosessanta all’ora. Era sempre col Biondo, quello alto, occhi azzurri, bello come un dio, che faceva i fotoromanzi. Troppo per la professoressa di lettere, intellettuale seria e compassata, senza fantasia, che spiegava la letteratura come fosse lo scrigno di un’unica verità: la sua. Non le importava che la Four se la fosse comprata lavorando d’estate, mentre tutti erano al mare a divertirsi. I ragazzi di borgata dovevano rimanere al loro posto, nelle storie di Pasolini, e non uscirne per nessun motivo. Meno che mai per entrare nella sua classe di liceo. Mansueto andava bocciato, e gli anni indietro divennero due. Decidemmo che erano troppi. Noi del quinto e loro del terzo avevamo gli stessi turni di pomeriggio, non fu difficile ottenere lo svolgimento dei temi in classe in quegli orari. Io fui designato consulente artistico, per riconosciuti meriti. Peppe, nato con la tessera della FGCI in tasca, era il consulente politico. Sapevamo bene come e cosa la professoressa voleva sentirsi dire, né più né meno di quanto era stampato sui volantini della CGIL.
Orso Mansueto usciva, con la scusa che da solo si concentrava meglio, l’aula deserta della prima era tutta per noi. Gli altri sapevano e ci coprivano: il collettivo si era espresso. Mansueto ci spiegava cosa voleva dire, noi lo mettevamo nella forma gradita alla professoressa. Che non si accorse mai di nulla.
Orso Mansueto era un ragazzo sveglio, imparò presto a scrivere come voleva la prof. Prese due lauree, continuò a lavorare d’estate e a girare col Biondo sulla sua quattro cilindri.
Anni dopo la prof volle coronare la sua carriera con un suo testo per i licei. Dopo i contatti di rito, mandò la bozza alla Qfwfq editrice, la più prestigiosa del settore. Erano molto interessati. Passò meno di un mese e ricevette una lettera: «Qualche buona idea, ma espressa in forma e lessico inadatti all’insegnamento nelle scuole superiori di oggi. Provi a riformulare l’esposizione e snellire i contenuti, magari con una buona consulenza nell’editing, e potremmo riesaminare la sua proposta». Firmato Qfwfq editore, l’amministratore delegato dr. M. Orso.

 

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