Erano tempi in cui fare coppia fissa era quasi reato d’opinione. E io mi facevo attrarre da ogni emozione effimera che la vita mi offriva. Appunto per un’emozione il mio pensiero ritornava a lui, alla sua figura massiccia che, muovendosi, sembrava saturare gli spazi: le gambe si divaricavano in un’andatura lenta, le spalle si muovevano in sintonia, il collo proteso in avanti gli dava un’aria da cacciatore e quella stessa espressione la mantenevano i suoi occhi.
A volte giravo per i corridoi dell’ufficio sperando di incontrarlo. Mi bastava vederlo a distanza, bermi da lontano quella sua aria oscura. Presi l’abitudine di seguirlo fino all’ingresso dei WC del terzo piano, quelli con lavabi e specchi. La prima volta ci vidi riflessa la mia immagine un po’ rossa in volto: feci dietro-front prima che lui alzasse gli occhi. Poi, lasciato ogni pudore, rimanevo a lavarmi le mani spiandolo mentre si rimetteva nei calzoni i lembi della camicia. Avrei voluto essere io quelle sue mani, esplorare io quei suoi rilievi, scandire io le sue reazioni per poi ritrarmi prima che diventassero incontrollabili, e portarlo così a desiderarmi a dispetto di tutto…
Un giorno mi sentii premere da dietro, mentre sostavo al lavabo. Poi le sue mani si appoggiarono ai miei fianchi e mi girarono lentamente. Ci trovammo faccia a faccia, incollati. Rovesciai all’indietro la testa mentre un calore violento quasi mi faceva venir meno. Lui mi sorresse e insinuò tra le mie labbra socchiuse una delle sue dita. La baciai e lui mi lasciò fare, poi si staccò e scese a baciarmi giù giù, mentre io deliravo temendo che ci sorprendessero, ma anche pregando che non finisse mai. Quanto durò? una piccola eternità: e non feci altro che gemere. Se ne andò prima che dal fondo di quel nulla riemergessi del tutto alla mia superficie.
Mi ricomposi a fatica: aveva tradotto le mie fantasie in realtà, mi aveva preso e tenuto nelle sue mani, mi aveva svelato che lui, i miei giochi segreti li aveva scoperti da sé e che lui solo li avrebbe condotti… E me ne meravigliai: che non l’avessi saputo riconoscere uguale a me, che mi avesse sorpreso e sopraffatto.
Mi guardai allo specchio con lo sguardo lucido del “dopo”, mi aggiustai calzoni e cravatta, uscii nel corridoio felice, ancora un po’ confuso, sperando dolorosamente che non rimanesse un episodio effimero.