Forse è un modo come un altro per cominciare la giornata: si apre il giornale – il Corriere della Sera, naturalmente – e ci si borbotta, tra il cinico e lo svogliato: “vediamo chi è morto di bello oggi”. L’ultima volta che me lo sono detto, l’agosto scorso, sulla sdraia sotto l’ombrellone davanti a un mar Tirreno scintillante, ho scoperto che il mio amico R, intelligente, creativo, quindici anni meno di me, un po’ sovrappeso, pressione alta, era morto. Da allora quella pagina la scorro piano, rispettosa, timorosa – sempre curiosa, però.
Perché negli annunci mortuari ci si trova un mondo. La storia sociale di una città, Milano, la mia. Intrecci familiari, di lavoro, politici. Vanità, dispetti – oscuri altarini delle magagne di peraltro illustri famiglie. Ci sono annunci misteriosi leggendo i quali ci si domanda quale mai tipo di famiglia vi si nasconda dietro. Ce ne sono di semplicemente strazianti – quando muoiono i bambini. E di quasi festosi, quando a scomparire sono i nonni e le nonne bis, salutati da stuoli di nipoti e bisnipoti. Ce ne sono persino di buffi – che a leggerli viene da ridere. E ce n’è di incredibilmente belli. Poetici, semplici. Tali da fare capire che la vita vale la pena, ogni pena ci dia.
E io piango. In quei momenti divento la mamma della bimba di dieci anni tanto coraggiosa che ha finito la sua lunga sofferenza, sono la giovane vedova che grida il nome del suo Piero al cielo, sono la nipote di nonno Gigiotto che tanto fu amato, sono la figlia del notaio, la sorella della merciaia. Sono tutto il condominio di viale Y che piange l’indimenticabile professor X. E mi dico quanto amore in questo mondo! Dove ce lo tenevano nascosto?