Il film si apre e si chiude con un compleanno: nella prima scena si festeggiano i 18 anni di Giulia, in quella finale quelli di sua sorella Chiara. In mezzo – un lasso temporale di tre anni – succede di tutto nella famiglia benestante e chiassosa di Gioia Tauro. Lo iato tra le due situazioni si nota subito: al compleanno di Giulia, la maggiore, c’è un caos infernale, caterve di parenti, amici, amici di amici tutti in tiro, col vestito delle grandi occasioni, cibo a profusione, alcol a litri, musica, balli, giochi e travestimenti. Tre anni dopo, a quello di Chiara, non si riconosce alcun familiare, alcun volto noto, l’atmosfera è sobria, all’opposto di quella rumorosa e kitsch della volta precedente. Chiara è un ragazzina sveglia che sa quel che vuole: col padre ha un rapporto dolce e confidenziale, con le sorelle (ce n’è una ancora più piccola, Gioia) pure, si diverte con le amiche, fa ginnastica e va bene a scuola, ma il suo carattere deciso la porta a scontrarsi con chi le mette il bastone tra le ruote.
Jonas Carpignano, afroamericano da parte di madre e italiano dal lato paterno, porta a termine con il lungometraggio “A Chiara” la sua trilogia calabrese dopo “Mediterranea” e “A Ciambra”.
Premiato al Festival di Cannes, il film è un racconto di formazione, il passaggio dall’età dell’innocenza a quella della dolorosa consapevolezza, della ribellione a schemi e imbrigliature anche potenti, come l’amore filiale e l’attaccamento alle proprie origini. Il “passaggio” di Chiara è irto di schegge che feriscono, di misteri che si chiariscono con brutale realismo, di buchi neri – buchi non solo metaforici, come quello segreto nella cantina di casa – che rischiano di ingoiarti. Nella confusione di riprese girate quasi addosso agli interpreti, nel grigiore di cieli imbronciati e nelle ombre pesanti della sera, brillano solo per la loro limpidezza gli occhi di Chiara, la bravissima Swamy Rotolo, che è sul set insieme a tutta la sua vera famiglia.
Premiato al Festival di Cannes, il film è un racconto di formazione, il passaggio dall’età dell’innocenza a quella della dolorosa consapevolezza, della ribellione a schemi e imbrigliature anche potenti, come l’amore filiale e l’attaccamento alle proprie origini. Il “passaggio” di Chiara è irto di schegge che feriscono, di misteri che si chiariscono con brutale realismo, di buchi neri – buchi non solo metaforici, come quello segreto nella cantina di casa – che rischiano di ingoiarti. Nella confusione di riprese girate quasi addosso agli interpreti, nel grigiore di cieli imbronciati e nelle ombre pesanti della sera, brillano solo per la loro limpidezza gli occhi di Chiara, la bravissima Swamy Rotolo, che è sul set insieme a tutta la sua vera famiglia.
“Il film è una dedica ai giovani calabresi che hanno coraggio e voglia di cambiare” dice il regista in un’intervista.
A Chiara – di Jonas Carpignano – Italia 2021