L’uomo indossò il guanto di nabuk sulla mano sinistra e lasciò roteare il ciuffo di cuoio. Poi diede la voce. Il comando uscì imperioso dalle sue labbra, l’animale si avvicinò dal buio in cui era rintanato, docile. Gli aliti si mischiavano nell’alba invernale. I geti si fissarono al guanto. L’uomo e l’uccello si guardarono. Occhi gialli in occhiaie nere, pelle cerata e anello. Poi il gheppio emise il suo verso… ti ti ti… Aveva macchie scure sul corpo, a forma di asterisco, le ali di un vivo color granata, il fascio grigio. Raggiungeva a stento i cinquecento grammi. Dalle sue parti lo chiamano il cristariello: il falco che vola a spirito santo. Il gheppio si alzò battendo veloce le ali maculate, poi all’improvviso si fermò nell’aria, con piccoli movimenti, sfruttando il vento per mantenersi stabile. Ecco lo spirito santo. Il cuore batteva lentissimo. Immobile il rapace ad osservare. Aveva la coda aperta a ventaglio e le unghie nere. Orientato controvento, come appeso a un filo. Poi individuò un cardellino. Scese in picchiata senza dare il tempo del respiro, senza neanche fare spazio alla paura. Il falconiere lo accolse sul suo guanto, prese un po’ di carne dalla borsa. Il falchetto la mangiò rilasciando la preda. L’uomo accarezzò l’animale sulla testa, riconoscente. Il falconiere pensò che esistono persone così. Sono quelli che si fermano in volo, a spirito santo, pronti ad azzannare la preda e a cederla in cambio di un po’ d’amore.