A whiter shade of pale

Le congiunzioni astrali e le imperscrutabili vie del destino dovettero di certo favorire l’incontro tra l’ingegner Hammond e i Procol Harum. Quando la ruota fonica prese a girare al ritmo del fandango, nel maggio 1967, il suono dell’organo Hammond prese il volo insieme al testo di Keith Reid. Chissà quale storia dovette raccontare il mugnaio perché sul viso della ragazza comparisse un’ombra più bianca del pallore. Chissà se quella vergine raggiunse mai la costa. Ma un segreto è racchiuso in tutte le cose straordinarie. Si sa invece ciò che lei disse: che la verità è facile da vedere e che non c’è alcuna ragione. Un altro drink e il mal di mare fecero il resto. Poco importa se Matthew Fisher e Gary Brooker, che composero l’introduzione, presero ispirazione dall’Aria sulla quarta corda o dalla Corale in mi bemolle di Bach; quelle note, che hanno stregato una generazione, ancora incantano e a volte scuotono l’anima. Come nella scena finale del film di Tullio Giordana, quando fanno da colonna sonora ai funerali di Peppino Impastato. È lunghissimo l’elenco di chi ha voluto reinterpretarla, Percy Sledge, King Kurtis, Joe Cocker, Annie Lennox. Qualcuno dice che perfino gli indigeni del Borneo ne hanno una versione per sole percussioni.

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