Abbiamo ancora un Cuore

Edmondo De Amicis – Ebbene sì, sono così giurassica che ancora sono stata uno di quei bimbi cresciuti con Cuore.
Trovavo il padre di Enrico detestabile, Enrico schiacciato da quella ingombrante presenza, Garrone solido e buono come l’amico che non avevo, Nobis spocchioso come certi compagni che avevo, De Rossi perfetto come avrei voluto essere, Franti così cattivo da indurre a compassione, la maestrina dalla penna rossa una fanciullina risolta, il maestro come doveva essere un maestro, i racconti mensili avvincenti e strazianti (quante volte li ho riletti!) e tutti quei ragazzi che portavano maschere regionali e sociali, elementi di un puzzle italico tutto da costruire.
Non avevo, allora, elementi per dare interpretazioni politico-antropologiche, né intenzioni di giudizio post ’68. Però tutte quelle figurine componevano un album che ho sfogliato e risfogliato e mi capita ancora adesso di commuovermi per L’infermiere di Tata o per il ragazzo che si spostò Dagli Appennini alle Ande. Così come ancora, talvolta, mi sorprendo a provare la smorfia del “muso di lepre”.
Per questo ritratto, ho scelto una frase del maestro di Enrico, parole che oggi, da prof, faccio mie: “Mostratemi che siete ragazzi di cuore; la nostra scuola sarà una famiglia e voi sarete la mia consolazione e la mia alterezza”.
E pazienza se penserete io sia una vecchia patetica. Lo ero anche da giovane.

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