Agi Mishòl e la poesia per divenire ciò che si è

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Su e giù per la cucina
come un monaco zen in edizione ridotta

un toast in una mano
una foglia di lattuga nell’altra

pretendendo di non sapere
il noto

sognando di trasformarmi
in ciò che sono

 

Agi Mishòl racconta uno spazio quotidiano raccolto, domestico, dove le porte invitano a entrare e non a uscire, è la poetessa del noto, del conosciuto. L’autrice infila versi come fossero collane e le sue perle sono una poltrona, il barattolo dello zucchero, il coltello, le federe, le mutande, il carrello dell’ipermercato. Un mondo poetico a portata di mano, a portata di poltrona perché “nella casa / tutto è raccolto”. Che sia una poltrona o un gradino, una sedia o altro, è il silenzio che invita a guardare, un silenzio condiviso con un amante – “Io e lui tocchiamo ormai la vetta del perfetto silenzio /muti per troppo essere esattamente noi” – o con altri umani – “ma la gente di casa respira come un gregge / dorme nelle sue stanze […]”, – o con un gatto: un silenzio che si interseca con gli eventi “una palma tergicristallo cancella dal parabrezza il cielo”. La poesia di Mishòl è il punto più lontano dall’autocommiserazione e dall’immagine femminile stereotipata, è al contrario è l’esibizione della propria identità e della propria scelta, dell’“essere esattamente noi”. È la poesia che guarda alle cose senza veli, senza illusioni “i miei occhi cacciatori già riposano / nelle nicchie del capo”, dove la realtà è capovolta e i versi puntano allo svelamento, al ribaltamento dell’usuale perché fare poesia è sognare di divenire ciò che si è. Potrebbe sembrare un gioco facile di parole, ma questo intimo e universale poetare altro che non è un integerrimo lavoro pe portare con la parola la realtà a trasformarsi, un ricamo su ferro.

Agi Mishol, Ricami su ferro, Giuntina, Firenze, 2017

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