Milano, un giorno da tailleur. In Galleria, al Savini entrammo in tre: lo scrittore di successo, la signora da salotto, io, la giovane apprendista. Curiosa mi guardai intorno. Sul sedile in pelle rossa, a un tavolo vicino alla veranda, una coppia elegante: lei mora e attenta, lui, impeccabile in un completo avorio un po’ fuori stagione, tiene dritto alla luce il capo, con radi capelli bianchi, le mani poggiate sul bastone avanti a sé. ‘Il vecchio è cieco’ mi dissi. Scelsero un tavolo in disparte. Nel sedersi lo scrittore si accorse dei due, riflessi nel riquadro di uno specchio. Ebbe un’impercettibile smorfia di sorpresa e deciso andò verso di loro. La signora, incerta, lo seguì. Io restai, tra un tavolo e l’altro. Lo scrittore si presentò chinandosi. Venne accolto da un saluto sostenuto della donna e da un sorriso tenero del Vecchio, mani da mani furono strette. La signora ed io ci avvicinammo. Col viso proteso si orientò alle voci ascoltando spiegazioni del chi, del cosa. Di me riuscii a dire solo il nome. Vidi l’occhio ancora rilucente sbirciarmi da un angolo preciso, poi la bella voce di Borges mi chiese: «¿Cómo estás?».