Alice si è persa dietro allo specchio

 

Vola di fiore in fiore, credendo di arricchirsi e comunicare. Un po’ gioca, un po’ pontifica. Raccoglie cosine iridescenti, convinta siano perle.
Gronda saggezza, ma fatuamente rotola di calembour in calembour. Si mette a nudo impudicamente e affida a mani virtuali segreti mai confessati agli amici dell’anima, spifferandoli in nome di affinità che la pelle non sa né verifica.
Volta le spalle al suo amore e alle richieste petulanti che non la lasciano andare, per accarezzare tasti e sorridere alla luce azzurrognola che rende spiritato il suo profilo. Se ne va, sciolta e facile, quasi in un viaggio astrale fuori da un corpo troppo pesante. Libera dagli anni, dagli errori e dal danno.
Ma a volte inciampa nel dubbio dell’esperienza ingenua, dell’incontro surrettizio, o nella gratuita scemenza cui si abbandona volentieri la gente di buona volontà. Peggio, la accoltella un lampo di odio malato proveniente da chissà quale abisso.
Poi accade che la assalgono dolori feroci, che la riportano al mondo dei corpi. Irrompono sguaiatamente nel luna park, senza alcun rispetto per la netiquette. Muore il ragazzo con cui chattava, muore nella realtà, esattamente come l’altro, conosciuto in ospedale. E lei piange nel modo poco fast, e neanche un po’ smart, di quando aveva otto anni. Perché non esistono faccine che esprimano disperazione. Diventa fragile, e comincia ad avvertire che la rete gronda lacrime, come quelle da pesca a strascico. Ed è triste come il quotidiano, solo più grande e labirintica.
Torna a desiderare il discorso esitante, le parole lente, il linguaggio del corpo. Sente un gran freddo intorno alle spalle, che nessun abbraccio virtuale riesce a scaldare.
Allunga allora un piede verso il coinquilino del letto, sperando di trovarlo ancora.

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